Ci sono vite che scorrono ed esistenze che, invece, restano. Ci sono “se” e “ma” intrecciati, spesso invisibili dentro le parole del commiato da chi abbiamo conosciuto, frequentato, amato.

Nel 2018 avevo da pochi mesi iniziato la collaborazione con Il Paese delle donne on line.

Inaspettato e molto gradito mi giunse l’invito di Marina Pivetta nella casa rossa di Castelluccio, in un lembo di Emilia che si affaccia morbido, ma deciso, sulla Toscana. Fine agosto, erano passati pochi giorni dal suo compleanno.

Il mio pensiero torna spesso a quelle ore, a volte accorato, a volte nutrito da una consapevolezza: non conta tanto – e solo – il tempo diviso con una persona, vale, piuttosto, come lo hai vissuto. Allora parlammo a lungo della nostra giovinezza, degli studi universitari.

Ricordo il suo sorriso quieto, serenamente posato sul sobbollire di un tempo, la fine degli anni Sessanta, nel quale tutto sembrava inarrestabile. Si percepiva in modo del tutto chiaro come Marina avesse improntato la propria vita nell’autorevolezza della credibilità.

Il rispetto, profondo, per il suo essere una donna, le muoveva un gesto, limpido ed attento: dare fiducia e trovare un punto di contatto comunque, anche quando la matassa pareva parecchio ingarbugliata.

Sapeva aspettare, ma in modo non banale.

Ora siamo tutte un po’ più tristi. Ma consapevoli, altrettanto, che la fiducia nelle donne, piena e struggente, che ha provato Marina, ci permette di viverne l’esistenza amabile sfogliando i suoi giorni.

Pur lei lontana.