In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne il gruppo ‘Memoria dei diritti’, composto di studenti e docenti del Liceo Scientifico “E. Fermi” di Padova, ha deciso di sviluppare in particolare il tema della prostituzione, un fenomeno che, fin dalla antichità, rende il corpo delle donne una cosa, una merce, un oggetto da consumare, oltraggiare, violare.

Il gruppo ‘Memoria dei diritti’ pensa che anche questo sia un modo per evitare di rendere  rituali le giornate dedicate a celebrazioni nazionali e internazionali,  ma per trasformarle piuttosto in un momento di riflessione condivisa. 

Il prof. Sergio Giorato descrive qui le iniziative del liceo, prendendo spunto da quelle donne prostituite di cui già Van Gogh denunciava l’isolata sofferenza:

Il potere dell’arte è quello di cogliere l’essenza dei fenomeni. Vuol dire che l’arte – quella vera che non si accontenta di rifare, copiare, di inseguire i gusti dominanti – è in grado di raggiungere l’intima dimensione dei fenomeni, di esprimere nelle immagini, superando ciò che le parole non possono, la verità delle cose. Scrive Heidegger a proposito del quadro di Van Gogh in cui rappresenta delle scarpe da contadino: … Nell’orifizio oscuro dell’interno logoro si palesa la fatica del cammino percorso lavorando. Nel massiccio pesantore della calzatura è concentrata la durezza del lento procedere lungo i distesi e uniformi solchi del campo, battuti dal vento ostile. E ci sono altre immagini di Van Gogh – questo artista crocevia della modernità, da cui gli orizzonti si aprono verso le conquiste, ma percepiscono anche le inquietudini e le contraddizioni – in cui si coglie l’essenza. Sono le immagini dedicate a Sien, la prostituta che egli amò e con la quale tentò una convivenza osteggiata.


In questo disegno Sien è rappresentata nella sua nudità che non è solo fisica, ma quella di un essere esposto, nella sua solitudine, a tutte le intemperie della vita. L’opera di Van Gogh rimanda certamente al suo tempo, al problema sociale che nel secondo Ottocento s’impone in seguito al grande cambiamento indotto dalla rivoluzione industriale, che determina lo straniamento di molte vite. Non certo che la prostituzione e la violenza compaia in quel contesto, ma certamente fenomeni quali lo sradicamento dalle campagne, l’inurbamento, l’esposizione alle oscillazioni dei mercati, l’imporsi di un modello economico di un capitalismo selvaggio, sono fatti che agiscono da moltiplicatori del disagio, prostituzione inclusa.

Ma l’opera di Van Gogh ha anche una valenza universale, che esula dal suo tempo. Nel disegno appare la frase «Come può esserci sulla terra una donna sola, abbandonata?» E’ evidente dunque che lo sguardo di Vincent mira all’umanità dolente, povera, sola e sfruttata, a quell’umanità che ancor oggi noi vediamo lungo le strade vendere il proprio corpo, perché è impedito ogni orizzonte di speranza e di salvezza.

Certo la graziosa di Via del Campo di De Andrè è molto distante dalla Sien di Van Gogh. Ma entrambe sono schiacciate, escluse dalla società. L’una depredata di ogni dignità, l’altra, invece, nella sua emarginazione è capace con i suoi occhi color di foglia di sottrarci alle menzogne e ai comportamenti ipocriti di una società ormai ricca, ma che deve passare il carruggio di Via del Campo per raggiungere l’autenticità dell’essere.

E’ per queste motivazioni di lungo periodo, si potrebbe dire, che il Liceo Fermi ha deciso di ricordare la Giornata contro la violenza sulle donne non con un semplice, quasi meccanico, istituzionale gesto di memoria e di monito, ma elaborando un progetto didattico di ampie dimensioni e che va ben oltre il 25 novembre. Un progetto che si sostanzia in un ipertesto che raccoglie e rinvia a questioni sociali, problematiche storiche, alle vicende della rappresentazione collettiva del fenomeno. Un progetto che coinvolge gli studenti nel commento ad una mostra di prostituite che fotografano la propria condizione, nel realizzare un brano teatrale dedicato all’argomento, esercitandosi nella massificazione dell’Olympia di Manet, che toglie l’aura all’opera e allude alla “cosificazione” delle relazioni e del mondo. Perché la violenza di genere non è così, semplicemente, un pessimo comportamento da stigmatizzare, ma è collegata a qualcosa di più profondo e più totale. L’impressione dei giovani è che questa violenza non sia che un capitolo di quella misconoscimento dell’altra/o, di quel rifiuto del diverso, dell’estraneo, del fuggitivo, del migrante, del debole che attraversa il nostro tempo.  L’impressione è che questo tipo di violenza appartenga a quella dimensione del potere al quale tutto è dovuto, che tutto dispone, a quel venir meno di ogni rispetto per le qualità dell’altro/a, per la sua differenza, per la sua fragilità, per la sua insostituibile unicità, per la sua spinoziana divinità.

Non il potere, dunque, ma l’amore, dev’essere cercato. Dove amare non ha nulla a che fare con l’affettività mielosa, il romantico innamoramento, ma significa semplicemente che la nostra umanità, la nostra responsabilità, si esprime quando aiutiamo l’altra/o a realizzare pienamente la propria umanità, quando ci prendiamo cura, quando siamo servitori e non signori, pastori e mai padroni. Null’altro. (S.G.)