Una donna migrante si è uccisa, impiccandosi, nel Cie di Ponte Galeria a Roma. Nabruka Mimuni, aveva poco più di quarant’anni ed era in Italia da quasi trenta. Momentaneamente senza lavoro, non le era stato rinnovato il permesso di soggiorno. Questo significa essere “clandestina”, anche dopo tre quarti della vita passati in un paese dove vige una legge ingiusta.
Nello stesso giorno sono state {{respinte e deportate verso le coste libiche, per ordine del ministro Maroni, le 238 persone}} (donne, alcune incinte, uomini) arrivate nel canale di Sicilia per sfuggire a guerre, violenze, povertà. Si tratta di un’ ulteriore inaccettabile violazione della Convenzione europea sui diritti umani e della Convenzione di Ginevra. Il Parlamento italiano, nel frattempo, porta avanti, finora quasi indisturbato, un disegno di legge che, in nome di una pretesa “sicurezza” , impone di fatto una legislazione razziale e discriminatoria e introduce {{il reato di immigrazione clandestina}}. Nel paese è cresciuto un clima razzista e violento, le aggressioni e le provocazioni razziste si moltiplicano, alimentate dalle politiche arroganti del governo e dal fanatismo delirante di molti.

Mi sento molto in sintonia con quanto scrive Vincenza Perilli in [Marginalia->http://marginaliavincenzaperilli.blogspot.com/] : “Mi rifiuto di leggere la sua morte come un atto di disperazione, la disperazione deve essere tutta nostra che non siamo riusciti ad impedirlo. Quello di Nabruka è un gesto politico. Un gesto politico che urla. E dobbiamo urlare anche noi (insieme a tutt* le/i migranti in sciopero della fame e in rivolta nei centri di identificazione ed espulsione), noi con i documenti in tasca e tutti i sacrosanti diritti di “cittadina/o”.

Nell’ esperienza di questi mesi del [ coordinamento delle donne contro il razzismo->www.donnecontroilrazzismo.blogspot.com] abbiamo cercato di contrastare la vergognosa deriva razzista di questo paese; abbiamo manifestato davanti ai luoghi istituzionali (il Viminale, il Parlamento, le sedi RAI) e nelle piazze di Roma; abbiamo denunciato le leggi razziali, ma anche la complicità dei media e dell’informazione televisiva; abbiamo dichiarato il nesso tra sessismo e razzismo nelle pratiche e negli stereotipi dominanti nella sfera pubblica e privata. {{Abbiamo costruito percorsi comuni con le donne migranti e le loro associazioni}}, per contrastare le molte forme di violenza, l’oppressione simbolica e materiale che nega per molte la dignità e perfino il diritto alla maternità; abbiamo affermato la ricchezza delle relazioni per costruire una convivenza paritaria.
Insieme a medici, sindacati, insegnanti, giuristi e a tutte le persone democratiche abbiamo costruito campagne di sensibilizzazione e di denuncia, ma {{ora è necessario trovare nuove e più incisive forme di lotta.}}

All’inizio del 2006, le compagne di Milano lanciarono un appello per {{“uscire dal silenzio”}} e denunciare la violenza contro le donne; ne seguì un’importante manifestazione che rese visibile il protagonismo delle donne dei movimenti femministi e ci diede nuova forza.

Oggi è il momento di mobilitarci di nuovo per {{uscire dal silenzio complice che avvolge questo paese}}, per dare visibilità all’indignazione di molte/i, per sconfiggere la vergogna e la disperazione impotente per quanto sta accadendo.

Dobbiamo di nuovo riempire le piazze della nostra passione politica: mobilitiamoci per essere in tanti/e
– a dire la nostra indignazione {{davanti al Parlamento}} quando riprenderà la discussione alla Camera del ddl razzista;
– {{il 23 maggio a Milano alla}} {{manifestazione nazionale contro il razzismo istituzionale}} ([www.dachepartestare.org->undefined])
– {{davanti al CIE di Ponte Galeria,}} per occuparlo insieme alle persone che lì sono detenute, in violazione di ogni garanzia giuridica e in condizioni insopportabili.