Continua la serie dei “bravi ragazzi”, quelli che “nessuno mai avrebbe pensato… ”, che massacrano ragazze come Giulia, annientata da chi diceva di non potere vivere senza di lei.

Tra le reazioni, oltre al silenzio commosso, ci sono le urla e i pugni sferrati sui banchi: una rabbia, questa, che non è manifestazione di violenza, ma ribellione a un problema ormai divenuto insopportabile.

Accanto a questa immane tragedia, e alle altre, analoghe, che si stanno consumando con cadenza quotidiana, assistiamo anche un trionfo di banalità, di fraintendimenti, di equivoci, che, se in buona fede, rendono la misura dell’ignoranza che avvolge, e oscura, il problema.

Si è polemizzato sui riferimenti al patriarcato, ma, a ben conoscere la questione, si constata che sono tutt’altro che peregrini. Tanto per fare un esempio: dei vizi del patriarcato, e della necessità di smantellare la cultura patriarcale – che “innerva i rapporti di disuguaglianza tra uomini e donne” – c’è scritto nei Rapporti ONU sulla violenza contro le donne.

E già nel Rapporto 2012, il femminicidio è stato definito “crimine di Stato” da Rashida Manjoo, delegata ONU per la quale le “risposte” al problema non erano da ritenersi “né appropriate né di protezione”, per cui, le violenze contro le donne risultavano “tollerate dalle Istituzioni “.

Qualche mese fa, l’Italia è stata sanzionata dall’Europa, e non per la prima volta: il Consiglio d’Europa ha rilevato che in Italia molti procedimenti per violenza contro le donne sono stati archiviati in fase di indagini preliminari, ovvero, che alle denunce delle donne la Giustizia italiana ha risposto in modo inefficace. Il Governo è già intervenuto con una sorta di “Codice rosso rafforzato” che dovrebbe velocizzare il procedimento penale. In merito, è stato espresso marcato scetticismo dal procuratore capo di Palermo, Maurizio de Lucia, il quale sostiene che quanto predisposto dalla nuova normativa non affronta il problema in termini adeguati, creando solo ulteriore carico di lavoro alle Procure – già allo stremo per carenza di personale – mentre sarebbe più utile intervenire con solleciti sulla polizia giudiziaria; a parere di De Lucia sarebbe opportuno prevedere delle misure di sicurezza a favore della vittima, come dotarla di un dispositivo che consenta alle forze di polizia di rilevare la distanza dall’indagato, cui è stato imposto il braccialetto elettronico: In questo modo le forze di polizia potrebbero essere informate se fra i due viene superata la distanza minima imposta dal giudice. Purtroppo le norme prevedono il braccialetto, ma non il dispositivo di cui dotare la vittima.

Dobbiamo rilevare, comunque, che il problema è soprattutto culturale, di mentalità; una mentalità – quella patriarcale, appunto – che è ancora così endemica da riuscire a passare inosservata, e a far considerare “naturali” certe forme maschili di violenza, anche psicologica, che vengono “normalizzate”, quindi da un lato minimizzate, e dall’altro subite con rassegnazione, complice la “virtuosa” sopportazione, che certa tradizione continua a far gravare sulla sensibilità femminile.

Dunque, occorrono costanti, capillari, interventi a livello sociale, educativo e formativo. E relativi investimenti finanziari.

Punto di partenza di ogni analisi e valutazione, dovrebbe essere il NON considerare la violenza contro le donne come semplice devianza criminale, frutto di pazzia, raptus, abuso di alcol o droghe (che è quello che si fa generalmente, e che porta a pensare che si tratti di un fenomeno appannaggio esclusivo delle forze dell’ordine, dei magistrati, o dei criminologi): la violenza contro le donne è innanzitutto problema culturale, sociale, e politico, perché se la politica riguarda anche “il come” si garantisce la libertà tra le persone, allora la riflessione sulla violenza contro le donne non può non essere considerata che parte integrante dell’ambito politico

Il Governo si sta attrezzando con strumenti nuovi. Il DDL Roccella diventato legge il 22 novembre, è una sorta di Codice rosso super rafforzato.

Ma gli interventi a livello culturale, gli interventi sulla Scuola? Ci saranno interventi strutturali, oppure ci si limiterà a un pacchetto di ore in aggiunta a quelli che già gravano su docenti e studenti/studentesse? Saranno coinvolti – sistematicamente, e non episodicamente – gli psicologi, ci saranno sportelli di ascolto, lavori di gruppo nelle classi per educare alla relazione? Ci sarà una rimodulazione della didattica delle discipline? Si può educare alla Bellezza, e dunque all’Empatia, al Rispetto dell’Altra/o anche con la Filosofia, la Storia, le Letterature, l’Arte.

Si investirà nella Scuola? I frequenti casi di depressione degli adolescenti, con quel che ne segue, sono dovuti anche al fatto che molti di loro non sanno riconoscere le proprie emozioni, non riescono a decodificarle e quindi a gestirle. Si sta pensando a una Scuola a tempo pieno, intesa anche come centro di aggregazione?

E comunque, non bisogna dimenticare che ruolo fondamentale dovrà essere quello delle famiglie, che dovranno dedicare maggiore tempo e attenzione ai loro figli: saper dire qualche “no”, motivato e argomentato, saper insegnare a gestire situazioni come l’abbandono e la sconfitta, che altrimenti possono essere devastanti.

Purtroppo la guerra è anche qui, e a subirne gli effetti – in termini di violenza – sono le donne.

Anche questa guerra ha bisogno di investimenti. Con interventi mirati e riforme incisive ed efficaci.