Louise Joséphine Weber (1866-1929), ebbe un’infanzia e adolescenza non facile. Nata a Clichy-la-Garenne, nel Basso Reno, da Madelaine Courtade, lavandaia, e da Dagobert Weber, carpentiere, soffrì con il fratello e la sorella l’abbandono della madre che si rifece una famiglia, avendo altra figlia; una sorellastra per Luise che vagheggiò tutta la vita un’inesistente relazione con lei.

Luise Weber, in arte La Goulue, inventrice del Can-Can al Moulin-Rouge, diventata simbolo di un’epoca e di un luogo partecipi non solo della storia parigina, esordì bambina in uno spettacolo per l’infanzia all’élysée Montmartre patrocinato dall’attrice Céleste Mogador e dal già celebre Victor Hugò, dimostrando un precoce talento per il ballo. Inabile per le gravi mutilazioni subite nel conflitto franco-prussiano (1870), il padre la rinchiuse a sette anni in un istituto religioso in cui, l’anno dopo, rimase orfana, uscendone solo dodicenne per andare a vivere con lo zio paterno Georges, a Saint-Ouen.

L’avverso destino, contò uno stupro, a tredici anni, da parte “di un soldatino” come Luise riassunse nelle tappe fondamentali di una vita che tanto scalpore provocò nella società di fin de siècle, da lei scalata con le armi del corpo, del fascino e del ballo. Non un ballo qualsiasi dato il portato erotico, mettendo in mostra gambe e culottes. A chi si avvicinava troppo, La Goulue faceva saltare il cappello con la punta dei piedi, tra ovazioni. Il soprannome potrebbe derivare sia dalla sterminata serie di amanti veri o presunti, sia dall’amore per il cibo, unica eredità di un’infanzia sofferta.

La ricca produzione biografica su La Goulue si è arricchita del romanzo di Barbara Chiappa*: L’ingorda (Lanieri, 2021), che segue Luise Weber nel proseguo dei suoi amori voluti e subìti, delle sue glorie e delle sue sconfitte precedenti e successive alla fama.

Ad aprirle le porte del successo, dopo anni di duro lavoro, già ombrata d’immoralità per la convivenza giovanile e il fare da modella per pittori e fotografi (es. Victor Noir) fu il giornalista Charles Desteuque che le procurò un posto di ballerina al “Cirque Fernando”, prodromo di altri palcoscenici; tra i primi il Moulin de La Galette dove si servivano gallette inzuppate nel vino. Lì sbocciò la lunga amicizia con Henry de Toulouse-Lautrec che la portò nel nuovo Moulin Rouge disegnando e facendo stampare lui stesso la celeberrima locandina con lei nel suo primo Can-Can.

L’Autrice rivisita la traiettoria e il declino di colei che Joseph Oller chiamò a inaugurare il teatro Olympia (1893); che mise al mondo un figlio di padre ignoto, sposò il prestigiatore Joseph-Nicolas Droxler iniziando con lui la carriera di domatrice di belve. L’attacco di un puma le fruttò una delle sue ultime prime pagine (Petit Journal, 1904).

Vedova (1914) e perso il figlio (1923), si ritirò a una vita vagabonda, in una roulotte posizionata vicino ai luoghi dei suoi antichi trionfi, facendosi chiamare Madame Louise e così è stata ripresa, quasi di sorpresa, grassa, trasandata e alcoolizzata, nel film “La Zone” di Georges Lacombe (1928).  

Grazie alla discendenza della sua unica nipote, Marthe, e a una schiera di artist* che non l’avevano dimenticata, l’allora sindaco di Parigi e futuro Presidente, Jacques Chirac, ne fece traslare i resti allo storico  cimitero di Montmartre.

*Barbara Chiappa, due lauree in Lettere e Filosofia e in Scienze dell’Educazione, gestalt counselor a mediazione artistica e drammaterapeuta, è al suo primo romanzo; in graduatoria con il racconto ‘O vascio’ al Premio Arthè (2019); giurata, dal 2015, a Librinfestival.