Intervista sul canale YouTube dell’associazione Il Paese delle Donne a TIZIANA ELSA PRINA, editora, che parla della sua “boutique editoriale” “LE ASSASSINE” che pubblica opere “gialle” di Autrici straniere. Una scelta precisa che s’avvale di un nome e di un logo “d’urto” in riferimento alla letteratura gialla ma anche all’essere, l’editora e le sue Autrici, “assassine di pregiudizi”.

Sono infatti donne che scrivono “…in tutte le sfaccettature: a suspence, deduttivo, hard boiler, psicologico, noir, negli stili più diversi, fantasiosi”, ma che essendo straniere portano sguardi, allargano il nostro. Il lungo percorso professionale di Teresa Elsa Prina comporta un grande accuratezza anche nella traduzione, poiché spesso l’uso delle categorie del “misterioso”, del “pauroso”, della “suspence” si coniuga a una presa di parola su eventi reali di dubbia natura, anche politici. Un esempio ne è l’ultimo edito, “Il procuratore muore”, di Luisa Valenzuela, scrittrice “noir” argentina con una vasta produzione alle spalle, ritenuta tra le maggiori contemporanee. Il suo “Procuratore” rimanda al presunto “suicidio” di Alberto Nisman, celebre oppositore dell’allora Presidente Cristina Fernandez de Kirchner, intrecciandosi anche ad atmosfere magiche. Tiziana Elsa Prina contesta l’asserzione di Camilleri sull’incapacità delle donne di scrivere narrativa gialla, tranne eccezioni, sottolineando che proprio loro, cresciute ovunque tra mille vincoli e timori, educate “alla paura”, più facilmente esprimono sensibilità e capacità introspettive, elementi di suspence. La passione per il giallo dell’editora le ha fatto ripercorrere la storia e l’evoluzione, nei secoli, della letteratura gialla e dei suoi personaggi femminili: vittime e carnefici ma anche investigatrici per passione (es. Miss Marple), o per lavoro.

Info: EDIZIONI LE ASSASSINE info@edizionileassassine.it


Come mai Edizioni Le Assassine? di Tiziana Elsa Prina

Come mai Edizioni Le Assassine? È una domanda che mi sento rivolgere spesso e le risposte che do sono molteplici: la prima, perché pubblichiamo scrittrici che hanno storie di suspence da raccontare; poi perché vogliamo “assassinare” una serie di pregiudizi sul valore della letteratura gialla, che è semplicemente una struttura. In realtà si dovrebbe fare la divisione tra buona e cattiva scrittura, e poi c’è il fatto che anche illustri e illuminati scrittori hanno sostenuto che le donne non sanno scrivere gialli. Tesi molto confutabile, basterebbe leggere i libri delle nostre autrici. E non dimentichiamo poi che sono proprio le donne le vittime principali di violenze e che fin da piccole introiettano una certa paura quando si dice loro di fare attenzione a questo e a quello. E allora perché non dovrebbero parlare e scrivere di questi temi? E poi ci sono molti pregiudizi ancora da abbattere o da “uccidere” e noi, nel nostro piccolo, cerchiamo di farlo allargando gli orizzonti e presentando scrittrici che vengono dalle parti più disparate del mondo (Malesia, Botswana, Corea, Argentina ecc.) e che attraverso una storia gialla/noir/thriller ci propongono uno spaccato delle loro società. Questo è infatti l’intento della nostra collana Oltreconfine, ma abbiamo anche un’altra collana chiamata Vintage, dove andiamo a recuperare le scrittrici del passato che hanno preceduto o sono state contemporanee di Agatha Christie, una scrittrice che secondo l’Index Translationum Unesco è seconda come numero di copie vendute solo a Shakespeare.

Ma ritorniamo alle altre pioniere della letteratura gialla, perché desidero confutare l’idea che la crime fiction sia sempre stata appannaggio degli scrittori e che solo di colpo nella Golden Age siano appunto apparse scrittrici come Agatha Christie o Dorothy Sayers. In realtà le scrittrici del genere sono presenti da molto prima. Pensiamo ad Ann Radcliffe che con i Misteri di Udolpho del 1796 si rivela la vera regina del romanzo gotico. Nei suoi romanzi donne innocenti, quasi sempre orfane e sole al mondo, vengono imprigionate in luoghi spaventosi da uomini pericolosi che incarnano il male, e anche il paesaggio contribuisce a dar vita alle angosce delle protagoniste. Ma non lasciamoci ingannare perché, pur essendoci un finale tradizionale con l’happy end nuziale, le nostre eroine agiscono in qualche modo come detective che non accettano passivamente di essere imprigionate, e operano con l’intento di salvaguardare sé stesse, riuscendoci. Qui ritroviamo l’ambiente, che è stato ampiamente utilizzato dalla letteratura poliziesca americana. I romanzi della Radcliffe traboccano infatti di temi che sono stati ripresi dai romanzi gialli successivi: oppressione, sequestri, sadismo, camera chiusa e una nota di soprannaturale che non manca in molti detective post-vittoriani.

Uno degli sviluppi del romanzo gotico è poi il romanzo sensazionale, nato negli anni intorno al 1860 e dunque in epoca vittoriana, a cui si aggiunge l’ispirazione derivante dalle cosiddette newgate novels (i racconti criminali veritieri, perché conformi ai crimini perpetrati da chi si trovava a Newgate) sviluppatesi da una specie di bollettino dove venivano appunto riportati senza commenti i crimini e i criminali che finivano nella prigione londinese. Siamo di fronte a un genere di romanzo che in un certo senso romanticizzava la figura del ladro e dell’omicida, suscitando la disapprovazione dei benpensanti. Anche le lettrici di romanzi sensational, che apparivano spesso a puntate nei giornali e a cui ora accennerò, erano biasimate dai vittoriani: sia mai che una donna venisse distolta grazie a questi romanzi dai sacri valori vittoriani, quali il suo ruolo nel focolare domestico!

Già, i romanzi sensazionalisti! Questi hanno dato un forte contributo alla nascita della detective fiction in quanto centrati su segreti, omicidi, inganni. Naturalmente, a questo proposito, viene sempre citato Wilkie Collins che nel 1860 scrisse La donna in bianco, ma ci si dimentica invece di Mary Elizabeth Braddon, che con Il segreto di Lady Audley del 1862 rende ben visibili elementi di indagine, che saranno caratteristici della vera e propria detection story. Nella Braddon i maschi rivelano le loro debolezze, mentre il sesso cosiddetto debole è rappresentato da donne con un notevole forza di carattere che si trasformano in detective amatoriali per chiarire qualche mistero; non mancano tuttavia fredde calcolatrici o criminali. Insomma, Conan Doyle con il suo Sherlock Holmes è già presente in nuce nei metodi analitici e per il tempo scientifici di Robert Audley, il detective del romanzo della Braddon. Il genere perde lustro alla fine del XIX secolo.

A questo punto la successiva tappa importante nella veloce carrellata del giallo ci porta alla Golden Age degli anni Trenta, e qui vale la pena ricordare il prestigioso Detection Club, a cui appartenevano scrittrici importanti come Agatha Christie e Dorothy Sayers. Non mi dilungherò sullo schema del giallo classico, già noto a chi ama il genere: vorrei solo fare presente come qui ci sia una sorta di fair play tra scrittore e lettore, in modo che quest’ultimo possa seguire la trama e arrivare in modo razionale o quasi alle debite conclusioni.

Prima di terminare questo veloce excursus sulla letteratura gialla, su cui ci sarebbe davvero ancora molto da dire, volevo riservare qualche riga a quello che accade dall’altra parte dell’Atlantico. Inevitabile è dunque menzionare Ann Katherine Green a cui si attribuisce la maternità del giallo classico, anche se in realtà già in precedenza con The Dead letter di Metta Fuller Victor si ha il primo esempio di romanzo poliziesco (1864). E poi non bisogna trascurare Mary Helena Fortune, una delle prime autrici di romanzi gialli del mondo, che è probabilmente tra le prime a descrivere le vicende dal punto di vista dell’investigatore e a trattare delle difficoltà che le donne incontravano nella società e di quanto fosse sottile la linea che divideva quello che veniva considerato accettabile o giusto da quello che veniva visto come immorale.

Nello stesso periodo in cui era in auge il giallo classico britannico, nasceva in America l’hard-boiled con Hammett e Chandler, ideatori di personaggi duri e puri, eroi solitari che si aggiravano in città dalle atmosfere sulfuree. Mi sento di nominarli perché negli anni Settanta con Marcia Muller, Sara Paretsky e Sue Grafton troveremo investigatrici donne di professione che rivedranno la formula popolare dell’hard-boiled in chiave femminile, non per investigare su un crimine particolare, ma sulle ingiustizie di cui viene incriminata la struttura di potere patriarcale della società contemporanea.