La legge sul cognome materno deve continuare il suo iter. E’ ferma da troppo tempo al Senato senza nessun motivo chiaro. Sono già pronti emendamenti sottoscritti da decine di parlamentari, a prima firma Monica Cirinnà ma ora ci dicono che bisogna avere prima il parere della Commissione Bilancio. Ho sollecitato la segretaria, parlamentare piemontese, la senatrice Magda Zanoni, e il relatore alla Commissione Giustizia on. Del Giudice. Qualcuno ha chiesto alla ministra Boschi, che ha le deleghe pari opportunità, senza ottenere al momento un risultato concreto. Propongo di sollecitare con numerose Mail tutti e tutte le parlamentari, a cominciare dal presidente Grasso.

Come parlamentare, alla fine degli anni ’80 e poi di nuovo nel 2000, ho presentato più volte alla Camera proposte di legge per il cognome materno ai figli. Sono più di trent’anni che si prova a dare una svolta a questa realtà culturale e profondamente patriarcale, e sempre senza successo.

In tutto questo tempo ho visto tante, troppe donne, magari abbandonate dal marito o dal compagno con i loro figli: tutti privati del diritto di scelta. Così come ho visto persone che semplicemente vogliono avere il diritto di decidere, mentre tutte le proposte di legge depositate non vengono prese in considerazione e restano chiuse nei cassetti del Parlamento.

Ora la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo condanna esplicitamente l’Italia perché non permettere di scegliere il cognome materno. Un risultato che è la conclusione di una coraggiosa battaglia giuridica cominciata nel lontano 2006 da una coppia italiana. Nella sentenza che avrà valore definitivo fra tre mesi, i giudici chiedono al nostro Paese di “adottare riforme” legislative o di altra natura per rimediare ai diritti violati.

Ecco perché circa tre anni fa abbiamo steso una petizione con la quale si chiede al Parlamento di legiferare finalmente e adottare quelle riforme che ci chiede Strasburgo. Il cognome maschile è uno degli ultimi baluardi di una società patriarcale che ormai non ha più senso.

Una legge sul cognome materno completerebbe la riforma del diritto di famiglia secondo le indicazioni europee. Ed è ormai tempo di agire. Subito.

Ringrazio linda laura Sabbadini per il bell’articolo pubblicato su La Stampa

Questo quanto scritto il 20 marzo 2017 da Linda Laura Sabbadini

Possibile che in un Paese come il nostro permanga ancora l’obbligo del cognome del padre per i figli e le figlie? Possibile che dopo 4 mesi dalla sentenza della Corte Costituzionale che dichiara incostituzionale tutto ciò non ci si adegui velocemente? Purtroppo è così. Ancora una volta. I Comuni stentano a mettere in pratica in modo visibile e chiaro il contenuto della sentenza, le persone hanno difficoltà a capire come fare a mettere il doppio cognome e non trovano chiare note esplicative nei siti istituzionali.

Per non parlare delle notizie sbagliate che circolano in rete. Il ministero dell’Interno emana una circolare dopo un mese, ma non riesce ancora ad essere parte attiva con le altre amministrazioni. Questo è un grande vulnus, ci siamo quasi abituati a passare sopra a uno dei tanti residui del sistema patriarcale nel nostro apparato normativo. E non lo dico solo io, ha usato questi termini anche la Corte Costituzionale nel 2006, quando ha invitato, inutilmente ahimè, il Parlamento a legiferare. Parlava di retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, allora. Ne abbiamo battuti tanti di questi retaggi nel tempo. Abbiamo eliminato la condizione subalterna della moglie nel 1975, e poi il delitto d’onore e il matrimonio riparatore nel 1981, e poi la violenza contro le donne come reato contro la morale nel 1996.

Li abbiamo spazzati via uno per uno. Con fatica, nel tempo, ma lo abbiamo fatto. E’ ora di abbattere anche questo dopo 68 anni dal varo della Costituzione, dopo la sentenza della Corte Costituzionale del 2006, dopo quella di Strasburgo del 2014 ; dopo quella di novembre 2016 della Corte Costituzionale. Da Strasburgo avevano chiaramente detto che l’attribuzione automatica del cognome del padre rappresentava una chiara discriminazione basata sul sesso. Dalle pagine di questo giornale proprio alla vigilia della sentenza ci auguravamo che la Corte non rinviasse per l’ennesima volta ad un Parlamento che non è stato capace di legiferare in tutti questi anni e se del caso, imponesse una volta per tutte il doppio cognome automatico salvo altra scelta dei coniugi. Avrebbe potuto farlo. Con una forzatura forse, ma legittimata dalla assoluta inerzia del Parlamento in tutti questi anni. Purtroppo non è stato così. Ha dichiarato incostituzionale il divieto al doppio cognome in caso di accordo tra i genitori e ha invitato ancora una volta il Parlamento a legiferare con urgenza, per superare l’assegnazione automatica del cognome del padre, rispettando il diritto alla piena identità del figlio e il principio di parità dei genitori.

Oggi (ndr. 20/03/2017) in Commissione Giustizia del Senato scadono i termini per la presentazione degli emendamenti al vecchio testo approvato dalla Camera nel 2014 di un disegno di legge assolutamente insoddisfacente. Ci auguriamo che anche in questo caso si faccia come nel lontano 1975 sulla comunione dei beni dei coniugi: automatica, salvo altra decisione. Stabiliamo chiaramente per legge il doppio cognome automatico, con assegnazione per ordine alfabetico della sequenza dei due cognomi. Daremmo così un segnale importante, di rilevanza sociale e simbolica, un segno di visibile parità dei due genitori nella costruzione della identità dei propri figli. Pari dignità alla madre e al padre. Solo così eviteremo quelle discriminazioni invisibili, sempre presenti in ambito familiare, magari mascherate da tradizione, disinformazione o da apparente noncuranza. E’ il momento che le donne in Parlamento scendano in campo unite, raccogliendo le istanze delle tante associazioni che si battono da anni sul tema, tra queste la Rete per la Parità. E’ il momento che le donne del governo i prendano in mano la situazione.

E’ il momento che gli uomini che credono nei diritti si uniscano a loro. Non è una questione da poco, l’invisibilità delle donne nel loro ruolo di madri, è la punta dell’iceberg di quella cultura maschile e maschilista che ancora resiste nel nostro Paese. Perché ricordiamocelo esiste il diritto inviolabile del minore all’identità personale unitamente al riconoscimento del paritario rilievo di entrambe le figure genitoriali nel processo di costruzione di tale identità. E va garantito per legge.