1417623619_cammini3Il 26 e il 27 novembre 2016, con un corteo e un’assemblea a Roma, le donne manifestano contro la violenza maschile: il tema non sono solo le politiche di contrasto, i fondi per i centri antiviolenza, ma il cambiamento di una cultura diffusa e pervasiva, che fa parte della nostra “normalità”.

La manifestazione è stata accompagnata da una discussione pubblica sulle modalità di una presenza maschile e sulla sua stessa opportunità. Noi pensiamo che sia giusto che siano le donne a decidere su questo. Le iniziative del 26 e 27 però sono state presentate dalle organizzatrici come aperte, e ci sentiamo impegnati a partecipare, secondo le modalità previste, così come in questi giorni partecipiamo a decine di incontri ai quali veniamo invitati in occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne.

In parte sono anche prosecuzione delle iniziative indette da uomini con il testo Primadellaviolenza, da noi diffuso nei mesi scorsi insieme a altre reti e associazioni di uomini e di donne impegnate su questo terreno: numerosi incontri e manifestazioni sono stati organizzati da maschi contro la violenza maschile tra il 15 ottobre e i primi di novembre (a Livorno, Palermo, Roma , Bari, Genova , Milano, Bergamo, Pisa, Pescara e precedentemente a Foggia, Taormina e in altre località ), proprio per segnare una più evidente, profonda e autonoma presa di coscienza da parte degli uomini.

Condannare la violenza senza riconoscere la cultura che la produce e la giustifica è un gesto vuoto. La violenza riafferma un dominio, un ordine gerarchico tra i sessi, ma anche tra orientamenti sessuali. La violenza verso le persone omosessuali è l’estrema espressione di una realtà molto più diffusa, fatta di insulti quotidiani nelle nostre scuole e nelle nostre strade, di battute, imbarazzi, discriminazioni ed esclusioni.

Trasformare questa cultura, vivere il cambiamento che le donne hanno già da molti anni determinato, sono anche un’occasione di libertà per noi uomini, che può arricchire e aprire le nostre vite. Può rendere possibile un cambio di civiltà.

Crediamo che anche altre violenze, altre sofferenze abbiano a che fare con questa cultura della gerarchia, della paura e del dominio verso chi percepiamo diverso da noi. Così tolleriamo la sofferenza e la morte di chi fugge dalla guerra e dalla miseria in un mondo in cui crescono violenze, ingiustizie e disuguaglianze. Dimentichiamo di fatto la gravità della tratta di migliaia di donne schiavizzate per i consumi sessuali maschili. Accettiamo nuovi muri anziché impegnarci per un ordine internazionale più giusto e pacifico. La violenza razzista e nazionalista è solo l’ultimo segno di un continente europeo avvelenato dall’odio e dall’intolleranza.

Molti uomini in questi mesi hanno preso la parola pubblicamente, hanno promosso gruppi di discussione, appelli a un impegno comune, incontri in varie città. Emerge una consapevolezza nuova: la violenza maschile contro le donne chiama in causa noi uomini, il nostro modo di stare al mondo e nelle relazioni. Anche diverse voci femminili hanno sollecitato una presenza e un impegno maschile più forte e netto. Tutto questo resta ancora troppo poco visibile e diffuso nella società e sui media, poco riconosciuto dalla politica e dalla cultura.

Non si tratta di ergersi a giudici di altri uomini o a “difensori delle donne”, ricreando un ambiguo paternalismo, non basta attivarsi solo per sensi di colpa o senso del dovere: dobbiamo interrogarci sui nostri desideri, sulla capacità di riconoscere la nuova autonomia e la nuova libertà delle donne, dirci se può essere un’occasione di cambiamento delle nostre vite.

Il testo che indice l’iniziativa del 26 novembre invita a “una grande manifestazione delle donne aperta a tutt* coloro che riconoscono nella fine della violenza maschile una priorità nel processo di trasformazione dell’esistente”. Noi ci riconosciamo in questa proposta. Ma questo impegno non comincia e non finisce con un corteo.

Ci interessa soprattutto confermare e rilanciare una ricerca comune, tra uomini e donne, e tra le diverse identità sessuali, che già ha conosciuto e conosce momenti significativi di confronto, di elaborazione, e naturalmente di conflitto.

Ciò significa:

– proseguire e approfondire le esperienze di collaborazione già avviate sul terreno specifico della prevenzione della violenza maschile, con le donne di numerosi centri antiviolenza e le associazioni femminili e femministe;

– allargare lo scambio sulle nuove figure paterne, sulla genitorialità, sull’impegno contro gli stereotipi di genere nella scuola, nella famiglia, nei media;

– impegnarsi nella ricerca di una pratica politica comune per definire alternative ideali e materiali a un sistema sociale che aggrava le disuguaglianze, condanna le giovani generazioni alla precarietà, fomenta l’odio per lo straniero e il diverso, rifiuta di basare le nostre vite su quella capacità di cura che in realtà rende la vita stessa possibile e – quando si afferma – anche desiderabile.

E’ immaginabile un percorso condiviso su questi e altri temi, superando resistenze e diffidenze reciproche, affrontando costruttivamente le ragioni di conflitto, dando continuità all’incontro di una giornata in piazza?

Non crediamo sia utile una presenza maschile formale né un omaggio di maniera. La nostra partecipazione a questo grande processo di trasformazione ha senso se sarà in grado di dare voce a un desiderio maschile di cambiamento, a una scelta di rottura con un sistema di potere millenario, per una nuova libertà di tutti e tutte, e per ogni singola vita.

Testo firmato da Antonio Canova, Paolo Cianchetti, Stefano Ciccone, Gian Andrea Franchi, Mario Gritti, Orazio Leggiero, Alberto Leiss, Gabriele Lessi, Domenico Matarozzo, Alessio Miceli, Beppe Pavan, Jacopo Piampiani, Roberto Poggi, Michele Poli, Claudio Tognonato.