Siamo noi stesse, frammenti vivi e palpitanti di storia. Questo, anche
questo, è femminismo. Questo, anche questo, è memoria da raccontare a chi viene dopo di noi. Per questo, anche per questo, ci vediamo ad Altradimora dal 3 al 5 settembre.Non è da oggi che si indaga sull’impatto, la trasmissione e la
sedimentazione del femminismo sulle giovani generazioni; le domande, (e
l’angoscia per le temute risposte), scivolano di volta in volta da donna a
donna quando le giovani che hanno incontrato i movimenti di emancipazione e
liberazione diventano adulte, e poi anziane, e nel frattempo si guardano
intorno, verificando i risultati e l’incarnazione delle proprie conquiste e
convinzioni nelle figlie, nelle sorelle minori, nelle allieve, nelle
conoscenti e nella società tutta.

Quando, nel 1989, avevo appena compiuto trent’anni uscì il mio primo libro,
{{ {Parole per giovani donne – 18 femministe parlano alle ragazze d’oggi} }}, con
postfazione di Lidia Menapace.
_ Evidentemente già da allora, (sono passati vent’anni esatti), io che ero
appena uscita dall’età della prima giovinezza sentivo il bisogno di fare il
punto della situazione, e non sentendomi ancora in grado di offrire da sola
una visuale critica precisa avevo rivolto una domanda a quelle che all’epoca
erano state, in vario modo, delle figure di riferimento per me e per molte
giovani donne della mia generazione.

La domanda, che avevo rivolto, tra le altre, a Tina Lagostena Bassi, Elena
Gianini Belotti, Silvia Vegetti Finzi, Dacia Maraini, era: “{Nei confronti
delle giovani donne tu ti senti più una madre o una sorella maggiore”}?
_ L’interrogazione che mi stava a cuore, dando per scontato che quelle donne
avessero fatto della trasmissione del proprio vissuto personale e politico
del femminismo uno dei fulcri della loro attività, non era se qualcosa fosse
passato di generazione in generazione, ma il come.

La mia convinzione era che fosse interessante e {{importante ragionare sulle
modalità di passaggio del testimone del patrimonio politico e culturale del
femminismo}}: di certo ero molto coinvolta in prima persona da quella domanda,
essendo io stessa un po’ figlia e un po’ sorella minore di quelle donne e
delle milioni di altre che mi avevano, senza che io le conoscessi, fornito
strumenti di crescita, emancipazione, liberazione e autodeterminazione.

Quando, oggi come ieri, e come purtroppo anche domani, si inciampa nella
banale giaculatoria del “non esiste più il movimento femminista di piazza”,
oppure del “il femminismo è morto”, dobbiamo chiederci attentamente, credo,
quale sia lo scopo di queste affermazioni.

Da una parte sarebbe assurdo non considerare la crisi, soprattutto italiana,
delle pratiche e del pensiero dei partiti e dei movimenti per il
cambiamento, che in questo nostro paese scontano in modo pesantissimo il
perdurante consenso della cultura omologante, fondamentalista,
semplificatoria e repressiva della destra.

In questo quadro spicca l’affermazione della giovane ex soubrette ed oggi
ministra delle pari opportunità Carfagna che ha pubblicamente affermato che
“c’è bisogno di più donne al lavoro e di meno femministe in tv”; proprio
lei, che dalla sua presenza in tv ha guadagnato una posizione di potere e
autorevolezza, veicola una visione antipatizzante del movimento delle donne,
relegandolo ad una posizione di mera apparenza contrapposta al ‘fare’ di
chi, dimenticando la fatica e le conquiste delle donne più anziane, le hanno
spianato la strada al successo e alla visibilità.

C’è, indubbiamente, un forte elemento di ingratitudine e di ignoranza da
parte delle giovani generazioni verso le precedenti, e in particolare delle
giovani donne italiane verso quelle donne femministe che hanno preso parola,
prima di loro, per se stesse ma anche per quelle che sarebbero venute dopo.

Se, in parte, il rifiuto per l’ingombro delle anziane è fisiologico per la
crescita, (ma non è giustificabile quando diventa disprezzo, smemoratezza e
sottovalutazione) c’è però anche una necessità urgente di interrogarci e
agire da parte di chi, oggi passata nella posizione di adulta di
riferimento, è potenziale fonte e risorsa.

Faccio un esempio pratico per spiegarmi meglio: di recente ho svolto per due
anni una docenza all’università di Parma, pagata malissimo e quindi decisa
perché, se non opportuna per la mia situazione economica, mi è sembrata una
occasione per fare attivismo culturale e politico.
_ E questo è stato: nella
generale assenza di luoghi collettivi grandi e riconoscibili dove la teoria
e la pratica del femminismo potesse arrivare a molte giovani donne e qualche
giovane uomo, ho colto l’occasione e ho trasformato le lezioni e gli spazi
che avevo in una piccola agorà di trasmissione, nell’ambito del mio corso,
di saperi e pratiche femministe.

Far vivere il femminismo per me ha significato dare corpo e parola al mio
essere femminista.
Sono più che sicura che, se avessi domandato alle ragazze del corso cosa
pensavano del femminismo (e lo abbiamo fatto come Marea, con un piccolo
)
le risposte sarebbero state generiche, forse anche deludenti e di
scantonamento e sottrazione.

La cultura nella quale la maggior parte di loro
è cresciuta ha raccontato il femminismo in modo distorto, o caricaturale, o
semplicemente l’ha rimosso. Come ho detto, in parte questo è il risultato di
una mutazione antropologica e politica nella quale sono venuti meno
ancoraggi e riferimenti essenziali per la costruzione del senso e del valore
della politica.

Tuttavia {{non condivido affermazioni funeree circa lo stato
di salute dei movimenti delle donne}}; credo, molto semplicemente, che si sia
dato per scontato che il processo di coscientizzazione si trasferisse per
osmosi e che fosse stato sufficiente vincere sul piano legislativo su alcune
questioni, pur importanti, perché le nuove generazioni si riconoscessero
nelle precedenti, e, ancora più importante, accettassero il testimone.

Sono anche convinta che pezzi del femminismo italiano abbiano smesso di
parlare con la società e con le giovani generazioni, svolgendo un lavoro
teorico apprezzabile ma di scarso impatto e comunicazione allargata; il
pericolo della omogeneizzazione e del ritorno al neutro imperante (anche nei
movimenti altermondialisti è sempre in agguato, e sta a noi femministe con
qualche capello bianco incipiente attivare ogni possibile risorsa,
individuale e collettiva, per continuare (o ritornare) a parlare con le e i
giovani, con la società, ridando attualità ed eros al femminismo. Non basta
la soggettività femminile a fare delle donne soggetti capaci di
autodeterminazione e di cambiamento: anche la giovane ministra ex soubrette
o quella post fascista alla gioventù a buon titolo e diritto hanno potere,
soggettività e visibilità.

Il problema è: era questa la soggettività che desideravamo costruire quando
criticavamo le strutture patriarcali della società, dei partiti, dei
sindacati e dei movimenti sociali tre, quattro decenni orsono?

Una cosa è certa: non bastano né sono sufficienti, per dare da soli la
misura della diffusione e della sedimentazione della coscienza di genere né
le manifestazioni di piazza, né i centri di studio; quello che penso è che,
per la sua originalità e la sua inscindibile qualità di movimento che nasce
dall’intreccio fra pratica e teoria (il personale è politico) il femminismo
si possa trasmettere se resta viva e vivace la trasmissione, anche
conflittuale, che le donne singole e i gruppi sanno alimentare nella
relazione con le altre, mettendo al centro, anche nei movimenti misti, il
conflitto di genere.
_ Altrimenti come potranno le giovani donne e i giovani
uomini ‘imparare’ il femminismo e poi assumerlo senza averne fatto
esperienza diretta?

Come nell’utopico Fahrenheit 451, questa, pur se faticosa e a tratti
dolorosa, è la fase della ricostruzione dentro l’uragano della dittatura
totalitarista: mi sento molto simile alle donne e agli uomini libro, che si
assumevano l’impegno, per le generazioni future, di imparare a memoria un
testo per trasmetterlo, nell’impossibilità di poterlo far leggere. Siamo,
anche noi stesse, frammenti vivi e palpitanti di storia. Questo, anche
questo, è femminismo.

Questo, anche questo, è memoria da raccontare a chi viene dopo di noi.

Per questo, anche per questo, ci vediamo ad Altradimora dal 3 al 5
settembre.

– [Per iscrizioni e informazioni sul programma->http://www.mareaonline.it/SEMINARIO-CORPO-A-CORPO-DIALOGHI-E-CONFLITTI-TRA-GENERAZIONI-DI-DONNE_2292428.html]
*www.altradimora.it, www.mareaonline.it www.monicalanfranco.it*