fertilitaLa campagna per il “fertility day”, sommersa dallo sdegno generale e soprattutto femminile, è per ora accantonata. Forse rinascerà con nuove forme, forse resterà negli annali come clamoroso infortunio comunicativo e politico, forse tutta la questione sarà accantonata per passare alla prossima emergenza. Un disastro, per chi pensa che sia necessario un discorso pubblico e politico sulla fertilità e sull’infertilità

Questo quanto ha scritto Barbara Leda Kenny su InGenere

La campagna per il “fertility day”, sommersa dallo sdegno generale e soprattutto femminile, è per ora accantonata. Forse rinascerà con nuove forme, forse resterà negli annali come clamoroso infortunio comunicativo e politico, forse tutta la questione sarà accantonata per passare alla prossima emergenza. Un disastro, per chi pensa che sia necessario un discorso pubblico e politico sulla fertilità e sull’infertilità, calato nel XXI secolo e non in quello passato. Nel quale le donne siano protagoniste, andando oltre l’ovvia difesa della propria libertà e autodeterminazione; e lo siano sullo stesso piano gli uomini, parte del problema e della soluzione.

  1. C’era davvero bisogno del “fertility day”? Ha senso una campagna del ministero della salute per promuovere una migliore consapevolezza sulle tematiche legate alla (in)fertilità?

Sì: i dati ci dicono che il 15% delle coppie incontrano un problema di fertilità. Dato ancora più alto secondo gli specialisti che hanno partecipato all’ultima indagine Censis sulla fertilità in Italia, secondo i quali l’infertilità riguarderebbe il 20-30% delle coppie italiane. Tra queste, quasi il 70% con età compresa tra i 35 e i 40 anni.

Il declino del tasso di fertilità in Italia è cosa nota, di lungo periodo, interrotto solo per una breve fase e ripreso, con un’accelerazione verso il basso, negli anni della crisi. Ovviamente non è riconducibile solo, né prevalentemente, a un problema di infertilità fisica. Ma questo fenomeno c’è ed è crescente.

Sì: i dati ci dicono che tra i figli desiderati e quelli avuti c’è uno scarto crescente, e molto spesso questo scarto si realizza dopo il primo figlio:

Se, come scrivono Sabrina Prati e Francesca Rinesi, le “aspettative di fecondità delle neo-madri suggeriscono che avere un solo figlio è molto spesso una condizione più subita che pianificata”, l’aumento dell’età media al primo figlio non fa che complicare, dilazionare e spesso rendere impossibile, per l’emergere di problemi di sterilità, la scelta del secondo.

Sì: i dati ci dicono che c’è un problema demografico enorme legato all’invecchiamento della società, e questo problema riguarda nel presente, speriamo meno nel futuro, soprattutto le donne:

L’aumento del carico demografico degli anziani si traduce in un aumento del carico di assistenza ancora in larga misura per le donne. Il rapporto di cura femminile degli anziani indica che per ogni donna fra i 45 e i 64 anni ci sono circa 0,4 ultraottantenni. Nel tempo questo rapporto è destinato a crescere, questo vuol dire che se non si ripensano modalità e organizzazione dell’assistenza, le donne in età matura in Italia si ritroveranno un carico decisamente insostenibile. (Giustina Caputo Orientale)

  1. Qual è il problema del fertility day?

La campagna parla della fertilità, invece che dell’infertilità, entrando nel merito dei comportamenti di tutti – che ciascuna e ciascuno, liberamente, può scegliere – invece che dei problemi di alcuni (sempre più, purtroppo) – sui quali il governo è chiamato a intervenire.

Il problema non è (solo) la tecnica comunicativa, ma il messaggio che vuole veicolare. La strategia di comunicazione del Ministero è tutta rivolta alla responsabilizzazione degli aspiranti genitori, in primo luogo delle donne. Messaggi spot che riflettono il messaggio: “la fertilità come bene comune che ogni donna custodisce per la società, anzi per l’Italia”, nel quale con superficialità si parla dei comportamenti riproduttivi delle donne nello stesso modo in cui Fornero parlò dei giovani choosy o Padoa Schioppa dei “bamboccioni”. E seppure sul sito molte informazioni sono rivolte agli uomini, le cosiddette “cartoline” (virali sul web, anche in versioni genialmente parodistiche, ma ormai inesistenti sul sito) erano cariche di messaggi stereotipati rivolti alle donne. La retorica della campagna, fatta di immagini di repertorio comprate dai grandi db di immagini, suona nostalgica, e sembra per l’ennesima volta, fatta non per le donne, ma sui corpi-contenitori-di-bambini-futuri delle donne.

Detto che posticipare le scelte riproduttive, principale fattore di infertilità, è legato all’assenza di lavoro, di reddito e di welfare e la correlazione positiva tra donne occupate, servizi sociali e scolastici efficienti e crescita demografica è verificata da anni di studi e letteratura accademica, rimane il fatto che il Ministero della Salute non fa le politiche del lavoro e neanche i servizi di welfare, ma si deve occupare di informare e prevenire. Non solo per il benessere delle donne e degli uomini, ma anche perché questo serve a contenere le spese del servizio sanitario nazionale. E se, la retorica dei figli della patria è poco condivisibile, il tentativo di parlare pubblicamente di infertilità è invece positivo.

Peccato che lo si faccia senza un ragionamento strutturato, senza la consapevolezza che quella stessa retorica della famiglia e della maternità come missione è quella che crea un tabù intorno all’infertilità per cui le coppie non la affrontano, la affrontano tardi, perdendo tempo prezioso e possibilità. Quella stessa retorica è quella per cui gli uomini non si sentono chiamati in causa quando si parla di infertilità e spesso fanno un semplice e non  invasivo spermiogramma quando le loro compagne hanno già affrontato analisi più costose e molto invasive.

Lo stesso ministero, inoltre, dedicandosi alla fertilità tralascia del tutto l’educazione alla sessualità; che invece potrebbe essere un efficace strumento di prevenzione (cosa che è scontata in moltissimi paesi del mondo), insegnando  ai bambini e alle bambine, ai ragazzi e alle ragazze, la conoscenza del proprio corpo, affrontando una serie di temi tra cui anche la procreazione consapevole, la contraccezione, la pianificazione familiare, in un quadro più ampio di salute fisica e mentale, e perché no, anche di piacere.

  1. L’assenza di un discorso pubblico e politico delle donne sulla fertilità

“Decidiamo noi se come e quando diventare madri” è uno slogan giusto, che le donne, anche quelle che non hanno legami con l’esperienza del femminismo, hanno fatto proprio, e nonostante le pressioni sociali, hanno difeso a spada tratta. Possiamo dire oggi, che le ragazze studiano meglio e di più, che avere un progetto di vita proprio è prioritario rispetto al modello sociale – cattolico e patriarcale – che vedeva la  maternità come missione identitaria. E che nella mancata realizzazione del proprio progetto di vita la maternità può attendere, spesso fino a quando rimandare significa non viverla. A meno di non essere disposte, di nuovo, ad accettare la maternità come missione identitaria autoimponendosi dei parametri di performance altissimi, da far impallidire qualunque direttore di risorse umane.

Mentre il femminismo storico si è occupato ampiamente di contraccezione e controllo riproduttivo, nel tempo è venuto meno un discorso delle donne sulla fertilità, delegato sempre di più alla scienza, che come un deus ex machina, costruisce la mitologia del superamento di tutti i limiti del corpo, aprendo le porte a fantasie di maternità posticipate a oltranza, che purtroppo molto più spesso di quanto non si pensi si infrangono sugli scogli della scarsa riserva ovocitaria, dell’endometriosi, delle fibromatosi.

Parlare di desiderio di maternità rimane un nodo controverso del discorso femminista, mentre la pressione sociale sulle donne e il mito della madre, anzi della buona madre, è ancora in “Salute”; anzi prende nuove forme, modellate su compiti sempre più performativi di super-mamme alla ricerca del figlio perfetto, dall’allattamento all’università. Le donne che hanno conquistato la libertà di scelta giustamente vogliono difenderla e ancora si sentono di dover proteggere la libertà di non essere madri . Ma ci sono innegabilmente, moltissime donne che vorrebbero diventare madri che si sentono pronte quando la loro fertilità è tramontata. Forse molte di loro non sapevano, non sanno che dopo i trent’anni la fertilità si riduce del 30%, dopo i 35 del 40% e ogni anno in più incide circa per il dieci per cento.

In conclusione

Nel 2015, per la prima volta in un secolo, la popolazione italiana è diminuita. E si è toccato il record minimo delle nascite. Se la tendenza alla riduzione della fertilità ha accomunato diversi Paesi europei, in Italia è stata più forte e preoccupante, poiché partivamo già da livelli minimi.

Le cause sociali, economiche, politiche, ambientali, culturali che sono alla base della denatalità sono diverse, e la loro analisi necessaria (si vedano, tra i tanti articoli dedicati da questo sito all’argomento); ma ci sono (e sono alle prime in parte connesse) anche quelle sanitarie, sia riguardo alla prevenzione che ai rimedi. Entrando nel modo prima descritto in questo intreccio complesso e delicato, la campagna del ministero ha dolorosamente e colpevolmente toccato un nervo generazionale scoperto, come dimostra l’ondata delle reazioni che ha avuto. La bocciatura della campagna a furor di popolo, è la vera notizia. E fa capire quanto la nostra società che non cresce sia sensibile al tema della sua non-crescita: guai a toccarlo in modo sbagliato. Ma guai, anche, a rimuoverlo.  Da InGenere ( 03/09/2016)