Dal 20 settembre al 22 novembre 2020 i suggestivi spazi della Palazzina Marfisa d’Este (Corso Giovecca 170, Ferrara) ospitano la mostra “Attraversare l’immagine. Donne e fotografia tra gli anni ‘50 e gli anni ‘80” che presenta le opere di 13 fotografe: Paola Agosti, Diane Arbus, Letizia Battaglia, Giovanna Borgese, Lisetta Carmi, Carla Cerati, Françoise Demulder, Mari Mahr, Lori Sammartino, Chiara Samugheo, Leena Saraste, Francesca Woodman e Petra Wunderlich.

Il progetto, a cura di Angela Madesani, si inserisce nella riflessione che l’UDI – Unione Donne in Italia, dedica alla creatività femminile in tutte le sue forme e linguaggi sin dal 1984. Dopo le mostre che hanno presentato alcune delle artiste più rilevanti della scena internazionale, ultima delle quali Ketty La Rocca (2018), Attraversare l’immagine indagherà il mondo della fotografia al femminile, mettendone in luce i filoni di ricerca più originali.

Palazzina Marfisa D’Este

Numerose sono state, soprattutto negli ultimi anni, le rassegne dedicate alla fotografia delle donne. Nella maggior parte dei casi si è trattato di esposizioni che non hanno distinto diversi ambiti di ricerca. Attraversare l’immagine si concentra invece sulle fotografe attive negli anni dell’impegno politico e sociale, un periodo caratterizzato da grandi mutamenti di cui le donne sono state protagoniste.
La selezione delle fotografie esposte prende avvio dalle ricerche a sfondo antropologico dalla fine degli anni Cinquanta agli anni Sessanta, indagini che hanno segnato l’avvio delle lotte per un cambiamento radicale della cultura e della società, per il raggiungimento di libertà individuali e di conquiste democratiche. Raggiungimenti che gli anni Settanta avrebbero estremizzato, animando, sullo sfondo di drammatici conflitti, il rapporto tra politica e cultura. Gli anni Ottanta hanno poi costituito in qualche modo il momento del riflusso: le grandi battaglie condotte per i diritti civili, per l’emancipazione delle classi sociali, delle donne, degli emarginati, sono defluite verso modi diversi di avvertire l’esistenza, soppiantando le pratiche collettive, delle quali l’arte e la fotografia si erano rese interpreti, a favore di un sentire più individuale.
Le fotografe hanno saputo registrare tali cambiamenti, concentrando il proprio sguardo su temi scottanti connessi al sociale, al patrimonio antropologico, alla sfera psicologica.

La mostra si apre con l’opera di Diane Arbus (1923-1971), una delle più grandi artiste della seconda metà del XX secolo, la cui ricerca ha fatto da punto di svolta rispetto a quanto era stato fatto sino a quel momento nel campo dell’immagine. Le sue fotografie hanno come soggetto i mondi paralleli alla normalità che Arbus riesce a raccontare nella sua verità e crudezza, arrivando a realizzare alcune fra le fotografie più iconiche dei nostri tempi.
Continuando nel percorso espositivo, vi sono i lavori che potremmo collocare nell’ambito del fotoreportage tradizionale, con una chiara propensione all’indagine sociale e antropologica. Di Chiara Samugheo (1935) sono esposte alcune fotografie di ispirazione neorealista, parte della serie dedicata alle tarantate salentine della fine degli anni Cinquanta e alla realtà dell’Italia meridionale. Di Lori Sammartino (1924-1971) sono presenti le immagini che raccontano un’Italia semplice negli anni precedenti il boom economico.
Una selezione di opere da Morire di classe di Carla Cerati (1926-2016), pubblicato nel 1969 con Gianni Berengo Gardin, consentirà al pubblico di ammirare una delle ricerche più significative e conosciute dell’artista, che ha contribuito a mutare la situazione manicomiale nel nostro Paese.
Grande forza hanno le immagini di Letizia Battaglia (1935), che in cinquant’anni di ricerca ha raccontato la Sicilia della criminalità organizzata e della corruzione, con un’attenzione particolare al mondo femminile.
Una sezione consistente della mostra è dedicata al fotogiornalismo: due reportage di guerra ambientati in Libano e in Cambogia della francese Françoise Demulder (1947-2008), la prima donna a vincere nel 1977 il World Press Photo, il più prestigioso premio fotografico del mondo; mentre della finlandese Leena Saraste (1942) sono presentate le immagini dedicate alle rovine umane e architettoniche del conflitto israelo-palestinese dell’inizio degli anni Ottanta.
Impegnata nella documentazione del mutamento della condizione femminile è Paola Agosti (1947), tra le più acute fotogiornaliste italiane, di cui viene presentato un intenso reportage sull’apartheid realizzato negli anni Ottanta in Sudafrica.
È legata al mondo del porto di Genova la preziosa indagine di Lisetta Carmi (1924): una ricerca in cui l’uomo, il paesaggio, l’architettura giocano ruoli equivalenti. Sono dedicati al mondo dell’industria, nel momento della sua trasformazione, anche i partecipati scatti di Giovanna Borgese (1939), in cui i protagonisti sono i lavoratori e gli scioperanti – oltre agli edifici abbandonati, veri e propri esempi di fotografia industriale.
La ricerca di Petra Wunderlich (1954), di matrice prettamente architettonica, travalica i confini fra generi e temi aprendo nuovi scenari. Le sue opere indagano il paesaggio dell’uomo e, in particolar modo, quelle in mostra, si concentrano sugli edifici religiosi tra Germania, Inghilterra e Belgio.
Di Mari Mahr (1941), fotografa anglo-ungherese, è la raffinata serie, di ispirazione letteraria e artistica, dedicata a Lili Brik, la scrittrice, artista, attrice russa, compagna e musa di Vladimir Majakovskij. Chiude la rassegna una piccola ma significativa selezione di opere di Francesca Woodman (1958-1981), artista che ha lavorato sul disagio femminile, il proprio, dando vita a immagini di grande forza e poesia.

La mostra è organizzata dal Comitato Biennale Donna dell’UDI (composto da Lola G. Bonora, Silvia Cirelli, Ada Patrizia Fiorillo, Catalina Golban, Elisa Leonini, Anna Quarzi, Ansalda Siroli, Dida Spano, Liviana Zagagnoni) e dal Servizio Musei d’Arte del Comune di Ferrara in collaborazione con la Fondazione Ferrara Arte, con il sostegno della Regione Emilia-Romagna..

Medaglia del Presidente della Repubblica

Con il patrocinio del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo

Mostra realizzata grazie al sostegno di Assicoop, Coop Alleanza 3.0 e Copma
Attraversare l’immagine
Donne e fotografia tra gli anni ’50 e gli anni ’80
20 settembre – 22 novembre 2020
Palazzina Marfisa d’Este
Corso Giovecca 170, Ferrara

A cura di
Angela Madesani

Orari
9.30 – 13.00 / 15.00 – 18.00 | Chiuso il lunedì

Tariffe
intero € 4,00 | ridotto € 2,00 (giovani dai 18 ai 30 anni titolari della Carta Giovani, over 65 anni, studenti universitari, gruppi di almeno 15 persone, categorie convenzionate)

Informazioni
T. 0532 244949
diamanti@comune.fe.it
www.artemoderna.comune.fe.it

Prenotazioni
https://prenotazionemusei.comune.fe.it/

UDI – Unione Donne in Italia
T. 0532 206233
udi@udiferrara.it
www.biennaledonna.it

Ufficio stampa
Sara Zolla
T. 346 8457982
press@sarazolla.com

LE ARTISTE della XVIIIma Bennale

Diane Arbus,
nome d’arte di Diane Nemerov, nasce in una famiglia dell’alta borghesia ebraica, a New York nel 1923. Dal marito fotografo di moda, Allen Arbus, con il quale si sposa a soli 18 anni impara la tecnica. Nel 1957 inizia a frequentare alla New School le lezioni di Lisette Model, la cui ricerca la segna profondamente. Dall’inizio dei Sessanta si dedica a una sua ricerca, muovendosi attraverso luoghi (fisici e mentali), che da sempre le erano stati vietati. Esplora i sobborghi poveri, gli spettacoli di quart’ordine spesso legati al travestitismo, scopre povertà e miserie morali, ma trova soprattutto il centro del proprio interesse nell’attrazione verso i freaks.
Spesso la pubblicazione delle sue immagini su Esquire, Bazaar, New York Times, Newsweek, e sul londinese Sunday Times danno vita ad aspre polemiche. Esse vengono ritenute troppo forti e perfino offensive. Sono le stesse accuse che le vengono mosse durante l’esposizione di alcuni suoi lavori, nuove acquisizioni, nel 1965 al Museum of Modern Art di New York. I suoi ultimi anni di vita sono all’insegna di una fervente attività tesa a combattare i molti problemi di salute. Si suicida nel 1971. Nel 1972 il MOMA le dedica un’ampia retrospettiva.

Paola Agosti
è nata a Torino nel 1947. Nel 1968 si è trasferita a Roma e ha iniziato la sua attività di fotografa che l’ha portata a compiere vari viaggi in Italia, in Europa, in Sud America, negli Stati Uniti, in Africa. Dal 1976 si è occupata con particolare attenzione di volti e fatti del mondo femminile. Ha realizzato immagini sul femminismo, sul lavoro operaio delle donne, nelle fabbriche dell’Italia settentrionale.
Ha fotografato il mondo contadino del Piemonte più povero e sua è una ricerca sull’emigrazione piemontese in Argentina.
In più occasioni ha ritratto leader politici, uomini di cultura e artisti di fama. E’ autrice di vari libri fotografici tra cui con Giovanna Borgese “Mi pare un secolo. Ritratti e parole di centosei protagonisti del ‘900” (Einaudi 1992). Le sue fotografie sono comparse sulle principali testate italiane e straniere e fanno parte delle collezioni permanenti di alcuni musei in Italia e all’estero.

Letizia Battaglia
è nata a Palermo nel 1935. Inizia a pubblicare le sue fotografie nel 1969 sul quotidiano palermitano L’Ora. Nel 1974, tornata nella sua città, dopo essersi trasferita per quattro anni a Milano, crea, con Franco Zecchin, l’agenzia Informazione fotografica. Si trova così a documentare l’inizio degli anni di piombo del capoluogo siciliano. Documenta delitti di mafia per informare e riuscire a scuotere le coscienze dei suoi concittadini e non solo. Nel gennaio 1980 è la prima fotoreporter a giungere sul luogo in cui viene assassinato Piersanti Mattarella, presidente della Regione Sicilia.
Una sua foto, dello stesso anno, con una bambina che regge un pallone, nel quartiere palermitano della Cala diviene famosa in tutto il mondo.
Le sue foto, in cui sono soprattutto soggetti femminili, raccontano Palermo, la sua città, conosciuta in tutti i suoi anfratti, una città complessa in cui miserie e splendori si incontrano quotidianamente.
Letizia Battaglia è stata la prima donna europea a ricevere nel 1985, ex aequo con l’americana Donna Ferrato, l’Eugene Smith Grant, a New York, un premio di importanza internazionale istituito per ricordare il fotografo di Life.

Giovanna Borgese
è nata nel 1939 a Milano in una famiglia dove antifascismo e cultura sono valori importanti. Laureata in archeologia con una tesi sul ritratto etrusco-italico, ha cominciato a fotografare durante la sua attività di archeologa. Si è dedicata poi al reportage di attualità, al Sud, al paesaggio industriale, al ritratto, collaborando con case editrici e giornali italiani e stranieri.
Ha fotografato il mondo della giustizia, dando vita al libro Un paese in tribunale. Italia 1980-1983 (Mondadori 1983).
Ha pubblicato con Isabella Colonnello Dove era la fabbrica (Mazzotta 1987) e I luoghi dei rifiuti (Mazzotta 1989).
Con Paola Agosti è autrice di Mi pare un secolo. Ritratti e parole di 106 protagonisti del Novecento. (Einaudi 1992), scrittori, artisti, intellettuali fotografati nelle loro case in vari paesi d’Europa.

Lisetta Carmi
nasce a Genova in una famiglia borghese di origine ebraica nel 1924. Durante il periodo delle leggi razziali è costretta a lasciare gli studi, che da quel momento li continuerà da sola. Negli anni Sessanta abbandona l’attività di pianista per la fotografia, ravvisando in essa uno strumento di impegno politico e un mezzo per compiere, attraverso lo sguardo sugli altri, un profondo percorso di ricerca esistenziale.
Si dedica alla fotografia sino al 1964. Ma in quegli anni riesce a dare vita a un vastissimo archivio di immagini.
Tra i suoi primi lavori, nei Sessanta, i reportage di documentazione e denuncia sociale, come quello sui portuali genovesi e sull’Italsider. Del 1966 è Erotismo e autoritarismo a Staglieno sul cimitero monumentale del capoluogo ligure. Dello stesso anno sono i famosi dodici scatti che hanno per soggetto Ezra Pound, colto, velocemente nella sua casa di Rapallo, che le valgono il Premio Niépce per l’Italia. Nel 1972 pubblica per l’editore Essedi Editrice di Roma Travestiti, un libro che fece scandalo, con immagini prodotte da Carmi tra i Sessanta e i Settanta.

Carla Cerati
nasce a Bergamo nel 1926, nel 1952 si trasferisce con il marito e i figli a Milano, città della quale diviene osservatrice puntuale. Verso la fine degli anni ’50 Cerati scopre la fotografia. Le prime esperienze professionali sono in ambito teatrale, ambito al quale rimarrà legata nel corso degli anni. Guidata dalla sua curiosità e dal suo occhio critico, Cerati fotografa la gioventù degli anni ’60, i volti e i luoghi del settore industriale, l’alluvione a Firenze nel ’66. Verso la fine degli anni ’60 e col sorgere della tensione degli anni ’70, la fotografia di Cerati acquista un taglio decisamente sociale e politico. Dalla fine degli ’80 Cerati abbandona gradualmente la sua professione di fotoreporter, disillusa dai meccanismi opportunistici e sbrigativi che ormai dominano il settore per dedicarsi a una ricerca fotografica personale e alla scrittura che l’aveva accompagnata sin dall’inizio del suo percorso.
Scompare a Milano nel 2016.

Françoise Demulder
nasce a Parigi nel 1947. Studia filosofia e inizia presto a dedicarsi alla sua grande passione, il viaggio. Nei primi anni Settanta si reca in Vietnam. Il suo non è stato semplicemente un lavoro di documentazione, ha sempre cercato di entrare nei fenomeni e di comprenderli. È divenuta fotografa di guerra formandosi sul campo ed è rimasta a Saigon dopo che la maggior parte degli stranieri erano stati cacciati. Nel 1975 ha ottenuto la sua prima esclusiva mondiale fotografando i carri armati Vietcong che entravano in città segnando la fine della guerra. In un momento in cui era eccezionale che una donna lavorasse nell’ambito della fotografia di guerra, Demulder è stata la prima a vincere il premio World Press Photo dell’anno, nel 1976, con una foto in bianco e nero che ritraeva una donna palestinese nell’atto di porgere le proprie mani verso un militante incappucciato ed armato, sullo sfondo di una Beirut devastata dalla guerra.
Nel corso del tempo ha lavorato nel Sud-est asiatico, nel Medio Oriente, a Cuba, in Pakistan, in Etiopia, in Iraq, in Iran, in Bosnia, in Afghanistan.
Nel 2003, minata da una grave malattia, ha dovuto abbandonare la professione. Scompare nel 2008.

Mari Mahr
nasce a Santiago del Cile nel 1941 in una famiglia di origine ebraica. Otto anni dopo si sposta con la famiglia a Budapest. Oggi vive e lavora a Londra, ma divide il suo tempo tra la città britannica e Berlino.
Formatasi come fotogiornalista nell’Ungheria degli anni Cinquanta e Sessanta, nel 1973, con il trasferimento a Londra, riprende a studiare fotografia per “reiventarsi” in una nuova lingua e in una nuova cultura. Nasce qui il suo linguaggio, facilmente riconoscibile, fatto di immagini delicate, cariche di riferimenti storici, letterari, talvolta dubbiose, che comunicano la stessa incertezza linguistica che Mahr aveva con il suo inglese stentato dei primi momenti. Ha scritto di lei Maria Nadotti: «La sua ricerca passa così dall’‘oggettività’ costitutiva del fotogiornalismo alla ‘soggettività di una tessitura fotografica che ha come oggetto la biografia familiare dentro il maelstrom della Storia e come materiali le tracce, i segni, delle esistenze individuali, quel che sopravvive e va riposizionato attraverso un atto di narrazione». Le sue sono composizioni in cui si trovano a dialogare elementi di diversa provenienza iconografica, che diventano un unicum attraverso la fotografia, in cui l’elemento portante è sempre e comunque la luce.

Lori Sammartino
è nata a Roma nel 1924. Dagli anni Cinquanta è attiva come fotoreporter in particolare per la rivista Il Mondo, fondata e diretta da Mario Pannunzio. Pubblica nel 1960 il suo primo libro di fotografia di costume, sulle abitudini degli italiani, Amore a Roma, con il testo dello scrittore siciliano Ercole Patti. Dell’anno successivo è La domenica degli italiani in cui l’importante contributo scritto è di Ennio Flaiano.
Dedicherà un altro volume, nel 1963, alla fotografia di paesaggio del Gargano con un testo introduttivo di Giovanni Russo.
In seguito, nel 1969, Sammartino pubblica molte sue foto che hanno per soggetto le persone, nel volume del marito, lo psichiatra Adolfo Petiziol, Iconografia ed espressività degli stati psicopatologici, pubblicato da Feltrinelli.
Scompare improvvisamente nel 1971 a causa di una malattia fulminante.

Chiara Samugheo,
nome d’arte di Chiara Paparella nasce a Bari nel 1935. Inizialmente contro il volere della famiglia, che la vuole maestra elementare, vuole dedicarsi alla musica. Già nel 1953 per affrancarsi dalla realtà in cui vive, si trasferisce a Milano, dove frequenta un ambiente intellettuale e impegnato. In questo periodo conosce il grafico, illustratore, editore Pasquale Prunas, fondatore della rivista culturale Sud che diventa suo compagno di vita e la coinvolge nella redazione de Le Ore, una rivista appena fondata che si occupa di attualità cinematografica e culturale.
Fondamentale per la sua formazione fotografica è l’incontro con Federico Patellani. I suoi primi lavori sono di reportage su fenomeni magico – religiosi e di denuncia sociale dell’Italia del Sud. Ritrae così i tarantati pugliesi, le baraccopoli napoletane, le zingare in carcere. In seguito, con la “dolce vita”, si dedica ai ritratti delle attrici. Le sue foto prendono le mosse da questo contesto, ma intendono restituire al corpo-oggetto delle dive una femminilità e una personalità reali, in contrapposizione all’ambiente effimero costruito intorno ai loro corpi.

Leena Saraste
è nata nel 1942 a Helsinki. Laureata in Filosofia, ha ottenuto, in seguito, un dottorato in Storia dell’Arte. Lungo tutta la sua vita si è occupata di fotografia sia da un punto di vista pragmatico che teorico. La sua influenza sulla fotografia finlandese, soprattutto femminile, è stata determinante.
Negli anni Sessanta e Settanta ha fotografato le celebrità finlandesi, i vestiti alla moda, i gioielli e le acconciature. Nel decennio successivo il suo lavoro ha compiuto una svolta e, come fotoreporter, ha viaggiato nei territori palestinesi, in Siria e in Libano. Le fotografie realizzate sono state, poi, pubblicate nel volume fotografico Rakkaani, Palestina (Per la Palestina, 1982), ed in molte riviste. I suoi libri sono opere fondamentali nella storia della fotografia finlandese. Le sue opere fanno parte della collezione permanente del Museo della fotografia finlandese di Helsinki.

Francesca Woodma
nasce a Denver nel 1958 in una famiglia di artisti. Trascorre molti momenti della sua infanzia in Toscana, dove i genitori hanno una casa. Inizia a dedicarsi alla fotografia a soli 13 anni. Dal 1975 al 1979 frequenta la Rhode Island School of Design dove si appassiona all’opera di Man Ray, di Duane Michals, ma anche di uno dei più intensi fotoreporter americani della prima parte del XX secolo, Weegee. In questo periodo torna di frequente in Italia, a Roma.
Soggetti delle sue fotografie sono il suo corpo, il suo circostante, colti con esposizioni lunghe e doppie esposizioni.
Nel gennaio del 1981 pubblica la sua prima collezione di fotografie, dal titolo Some Disordered Interior Geometries (Alcune disordinate geometrie interiori). Pochi giorni dopo si suicida gettandosi da un palazzo di New York. «Ho dei parametri e la mia vita a questo punto è paragonabile ai sedimenti di una vecchia tazza da caffè e vorrei piuttosto morire giovane, preservando ciò che è stato fatto, anziché cancellare confusamente tutte queste cose delicate»

Petra Wunderlich
è nata a Gelsenkirchen, in Germania, nel 1954. Ha studiato all’École Nationale Supérieure des Beaux-Arts di Parigi e alla Hochschule für Bildende Künste di Düsseldorf tra il 1985 e il 1988 nella classe di Bernd e Hilla Becher.
È docente di Fotografia presso l’Università di Lucerna, in Svizzera. Fotografa di architettura, a partire dalla fine degli anni Settanta, ha realizzato un lavoro sugli edifici religiosi in Europa. Degli anni Novanta è il suo ciclo di immagini dedicato alla località tedesca di Solnhofen. La sua notorietà a livello internazionale si deve alle sue immagini dense e forti sulle cave di pietra di Carrara.
Tra le sue ricerche più recenti, sempre in bianco e nero, quella dedicata alle sinagoghe di New York in cui il passato, la memoria, la stratificazione storica e fisica sono al centro della sua riflessione fotografica.