Un colossale lavoro d’inchiesta condotto con singolare maestria, questo brillante, controverso documentario firmato dall’australiana Anna Broinowski, tanto da essersi conquistato il premio per il miglior film della sezione “Extra”, la più sperimentale della “Festa del Cinema di Roma”, ma solo dopo aver fatto incetta di numerosi altri riconoscimenti in diversi festival sparsi per il mondo. Incastrando con intelligenza i vari tasselli di un composito puzzle narrativo che vuol aderire all’intricato panorama mentale della sua protagonista, la regista riesce a rendere appassionante, mozzafiato come un thriller, un documentario imperniato a 360° sull’enigmatica donna cui intende dar voce e spazio per illuminare tutte le sue oscure ragioni. L’oggetto dell’analisi in questione è la discussa Norma Khouri, l’improvvisata scrittrice giordana di nascita, ma americana d’adozione, balzata improvvisamente agli onori della cronaca in virtù di un best-seller di fama internazionale, quel {“Forbidden Love”} (Amore Proibito, 250.000 copie vendute nel mondo), in cui si narra del brutale omicidio della sua fantomatica amica Dalia, avvenuta per mano del padre, “a causa” del suo amore proibito per un cristiano.
_ Cavalcando da un lato una delle principali battaglie condotte dalle femministe di tutto il mondo (ivi comprese, è sempre bene ricordarlo, le molte associazioni attive anche nei paesi musulmani) per il riconoscimento dei diritti delle donne, dall’altro l’ostracismo con cui le popolazioni arabe vengono considerate dagli ambienti conservatori occidentali, la Khouri si dimostra talmente scaltra (o amorale, a seconda dei punti di vista) da inventarsi di sana pianta una storia che colpisca tanto una parte quando l’altra, provocando un forte risentimento, che è sinonimo, comunque, di interesse. {“Bene o male, purché se ne parli”}: è così che si dice, no?
_ Il personaggio Norma Khouri riesce, durante l’ora e mezza di proiezione, a risultare alternativamente amabile, odioso, attraente e repulsivo, senza che si riesca mai ad individuare una chiava di lettura utile a definirla in qualche modo. Alla fine, però, la domanda che si impone con maggior vigore delle altre nell’uditorio interdetto, rimane innanzitutto: “{{artista o imbrogliona}}?” Ma è così semplice distinguere tra le due alternative poste in essere? La realtà non è sempre più sfumata di quanto non vorrebbero farci credere? Un artista non è spesso, anche e soprattutto un imbroglione?
_ Forse altrettanto impopolare, questa brillante inchiesta in forma di film, ha comunque il merito non da poco di voler condurre uno scavo più approfondito del solito nel cumulo di verità nascoste, non accontentandosi delle morali spicce e sempre uguali che ci piovono sul capo da parte degli ambienti istituzionali.

Evocando {{la probabile esistenza di più verità possibili}}, al posto di una definitiva e omnicomprensiva, tanto da tacitare le coscienze, la regista ci offre l’opportunità unica di compiere un viaggio davvero oscuro, percorrendo tutte le sfumature del grigio, nell’intricata psicologia di questa donna. Lo stile del suo documentario, tanto innovativo e fuori dai consueti canoni del genere, le consente di far presa al meglio sui moventi evidentemente più urgentemente avvertiti.
_ Proprio dalla sensazione di vago disagio che si impossessa dello spettatore a fine proiezione, si intuisce quanto questo film agisca in profondità nello smuovere interrogativi scomodi, cui raramente ci ritroviamo a dover rendere conto. Qualcuno ha improvvidamente parlato di film che sfuggirebbe di mano alla regista e nulla ci pare più lontano dal vero. Per noi si prefigura, all’opposto, il profilo di un’autrice talmente coraggiosa da fornire solo alcune, limitate impostazioni iniziali al suo lavoro, per poi lasciarlo libero di seguire il suo corso naturale, laddove gli sviluppi successivi e imprevisti delle indagini lo conducono, senza imposizioni arbitrarie o costrizioni di sorta. Al confine tra documentario e fiction. Con quell’approccio creativo e scevro da imposizioni che unisce, alla fin fine, protagonista e cineasta in un univoco atteggiamento ambivalente e contraddittorio. Che risulta anche, e qui è il pubblico a bearsene, supremamente affascinante.