Nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore al sessanta per cento. In caso di quoziente frazionario si procede all’arrotondamento all’unità più vicina“: così recita il comma 2d art. 1 della legge sulla doppia preferenza approvata dal Consiglio regionale della Calabria nella seduta del 10 novembre 2020.

La stessa legge, all’articolo 2, stabilisce che “nel caso di espressione di due preferenze, esse devono riguardare candidati di sesso diverso della stessa lista, pena l’annullamento della seconda preferenza.”

Insomma, dopo il desolante dibattito sulla proposta di legge presentata nella X legislatura (era il 15 aprile 2019), caratterizzato da astensioni, defezioni…, e conclusosi con un papalino “non expedit ”, il Consiglio regionale della XI legislatura, nella sua ultima tranche de vie, è riuscito a partorire la tanto sospirata legge. Finale col botto ? No: se l’assise regionale non avesse fatto ciò, sarebbe intervenuto in punto di diritto il Governo centrale, come è accaduto in Puglia nel mese di luglio, quando la doppia preferenza è stata introdotta per decreto, a firma del Presidente della Repubblica, nel quale si dava incarico al prefetto di Bari di provvedere “agli adempimenti strettamente conseguenti per l’attuazione del decreto sulla doppia preferenza di genere nelle Regionali in Puglia”.

C’è da dire comunque che nella precedente legge (X legislatura) proposta dall’unica donna eletta in Consiglio, l’art. 1 prevedeva esplicitamente l’inammissibilità della lista nel caso in cui non fosse stato garantito chein ciascuna lista, nessun genere potesse essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati“: insomma, quella proposta, nella formulazione, sembrava avere carattere più cogente di quella approvata nei giorni scorsi.

In ogni caso, la legge del 10 novembre 2020 rappresenta un passo avanti nell’affermazione della piena democrazia formale. Rimane, però, il nodo gordiano della democrazia sostanziale. E ciò, dipende – innanzitutto – dal criterio che i partiti utilizzeranno nella selezione delle candidate; in secondo luogo, riguarda specificamente le elette : il loro essere, o non essere, soggetti portatori di competenza e capacità di autodeterminazione, in grado cioè di sostenere le istanze di genere, a cominciare dalla rivendicazione del “gender budgeting”. Nella definizione del bilancio, occorrerà, infatti, tenere conto della differenza di genere in tutte le fasi della programmazione, dalla definizione degli obiettivi alla valutazione di risultato.

Si dovrebbero prevedere azioni che riducano il “gender gap” e siano mirate, a esempio, a sostenere la conciliabilità dei “tempi di vita” e il lavoro di cura, fardello che la tradizione patriarcale ha scaricato sulle spalle delle donne. Così operando, diventerebbero centrali le azioni dirette all’infanzia, come gli asili nido pubblici, e quelle dirette agli anziani, come l’assistenza domiciliare e le attività ricreative. In merito, sarebbe anche opportuno puntare l’attenzione sulla qualità degli interventi urbanistici nella fase di progettazione degli spazi e dei servizi alla persona: la disponibilità di aree verdi renderebbe più agevole il lavoro di cura diretto a bambini e anziani. Sarebbe opportuno anche finanziare politiche di sostegno dell’ ”agibilità della città”, a esempio, rispetto all’uso dei mezzi pubblici in orari notturni, per prevenire e arginare l’emergenza sociale costituita dalla violenza contro le donne.

Per quest’ultimo problema, sono indispensabili poderose campagne di analisi che si riversino in interventi concreti, incisivi, anche con l’attivazione di protocolli d’intesa tra i vari Enti, a esempio per una formazione professionale che riguardi personale sanitario , agenti di forza pubblica, e docenti, prevedendo anche l’attivazione di mirati percorsi di studio e di buone prassi all’interno di tutte le Agenzie formative.

La politica delle donne dovrebbe mantenere un focus costante sulle problematiche sociali, nella tutela di tutte le fasce deboli, e soprattutto, nella tutela della salute. L’angosciante contingenza che si sta vivendo in Calabria fa da monito: il problema “salute” brucia forte, e mai come in questo periodo la gente ha nutrito così tanta sfiducia nei governanti, a tutti i livelli. Contemporaneamente, sono tanti i cittadini e le cittadine che vogliono ancora credere nella possibilità di un mondo giusto, di una politica che sia veramente res pubblica e non questione “per pochi intimi” che ne traggono personale beneficio anche ricorrendo a mezzi indecorosi.

Per le donne, entrare in politica non deve significare dividere la torta, bensì, cambiarne il sapore; anche se dovranno fare i conti coi “cuochi di bordo”…., per dirla con Kierkegaard. E’ chiaro che l’orizzonte politico non farà sbocciare, tout court, “umane eprogressive sorti” soltanto perché si colorerà di rosa, magari! Non si disconoscono certo i machiavellismi di una politica maschile navigata e scaltra, che include per omologare; né si può pensare (e purtroppo c’è chi lo pensa) che la cartina al tornasole della democrazia paritaria possa consistere nella “presenza nei posti di potere di donne incapaci quanto gli uomini”. I tempi tragici che viviamo, e soffriamo, richiedono ben altro: le persone incapaci, e disoneste, dovrebbero scomparire tutte dalle istituzioni. Lo richiede con forza l’attuale pandemia: dalle urla disperate dei sofferenti, ai silenzi di chi non ha più voce per parlare.