cognomeCon la pronuncia della Consulta cade l’automatismo a favore di quello del padre

Via libera al cognome della madre per le figlie e i figli nati nell’ambito del matrimonio: la Consulta ha dichiarato incostituzionale l’automatica attribuzione del cognome paterno prevista dall’attuale sistema normativo, quando i genitori intendono fare una scelta diversa. «La Corte costituzionale»», sottolinea una nota della Consulta, «ha accolto oggi la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di appello di Genova sul cognome del figlio. La Corte ha dichiarato l’illegittimità della norma che prevede l’automatica attribuzione del cognome paterno al figlio legittimo, in presenza di una diversa volontà dei genitori». Il caso in esame davanti ai giudici di Genova riguarda un bambino  nato nel 2012 con cittadinanza italiana e brasiliana che finora è stato identificato con nomi diversi nei due Stati. Bisognerà ora attendere il deposito della sentenza, di cui sarà relatore il giudice Giuliano Amato, per capire quali siano le motivazioni della Corte. Una cosa però va detta:  nella dichiarazione della Corte l’uso del maschile (figlio)  continua a negare quella soggettività femminile che nei secoli è stata cancellata anche nel dare ai nat* da donne il solo cognome dell’uomo cancellando la memoria di una discendenza femminile.

Già nel 2006 la Consulta aveva trattato un caso simile: in quell’occasione, pur definendo l’attribuzione automatica del cognome del papà un «retaggio di una concezione patriarcale della famiglia», la Corte dichiarò inammissibile la questione sottolineando che spettava al legislatore trovare la strada risolutiva. Legge, però, che non è mai stata varata.

Ma se vogliamo andare indietro con la memoria, quasi quaranta anni fa il movimento femminista aveva incontrato alcune parlamentari per chiedere che  venisse presentata una proposta di legge che prendesse in considerazione il cognome della madre.

La Corte d’appello di Genova ha quindi sollevato di nuovo la questione di legittimità ritenendo vi fossero nuovi presupposti per una pronuncia, tra cui la sentenza della Corte europea di Strasburgo che condannò l’Italia sulla questione del cognome materno.