Cara Roberta, non so se tu mi abbia dimenticata. Io non potrò mai.
Ho conosciuta una sola delle tue qualità e per quella, la generosità, sono riuscita a fare un lavoro che è stato importante, forse il più importante della mia vita.Ti ho telefonato un giorno per chiederti aiuto nella ricerca dei dati sulle donne assassinate in Italia. Tu lavoravi all’Eurispes, i dati Istat non mi dicevano nulla nella prospettiva che avevo scelto.

Fu te che cercai, inquanto avevi lavorato per {Noi Donne}, sperando così di non dover spiegare troppo a lungo la mia richiesta.
_ Mentre cominciavo a spiegarti che stavamo lavorando per individuare le responsabilità pubbliche sul femminicidio, tu, certamente fraintendendomi, mi interrompesti dicendo “guarda che io ora mi ritrovo in una prospettiva di destra”.
_ Fu certamente una seconda fortuna quella che a me di questo non importasse nulla, così continuai a dirti.

Parlammo a lungo, senza noia alcuna per quello che ascoltavamo l’una dall’altra. Da allora ci sentimmo fino al giorno in cui come Udi proponemmo la prima iniziativa pubblica sulla violenza, e che si sarebbe tenuta di lì a un mese . Da allora, quei giorni di Ottobre 2004 arrivarono da te sulla mia posta i dati che ti avevo chiesto.

Lo facesti con naturalezza, meravigliandoti per ogni grazie. So per certo che l’impegno, e ce ne volle molto, che mettesti in quel lavoro, non ti è ritornato in alcuna utilità pratica personale. So che lo facesti per lasciar crescere qualcosa che altre donne stavano facendo.

Non conosco niente di più femminile di questo lasciar crescere. Non conosco lascito ereditario che possa dare più libertà di questo.

Ti saluto ringraziandoti ancora per i tuoi gesti laboriosi di cinque anni fa, per i quali non potrò che continuare per sempre a volerti bene.