Camilla Canepa, diciottenne, è morta per un embolo in seguito alla vaccinazione, effettuata con AstraZeneca, contro il Covid19.

L’espressione della responsabilità politica, istituzionale e sanitaria è stata più che mai confusa, mentre la soluzione è stata più che mai empirica e pedestre, con l’indicazione di escludere la somministrazione del vaccino incriminato ai giovani.

La morte di Camilla in seguito alla vaccinazione anticovid, ma anche di altre di età più avanzata, è stata considerata un danno collaterale rispetto ai benefici per tutta la popolazione. Benefici, è bene sottolinearlo, legati alla celebrazione del rito collettivo delle riaperture.

Camilla e tutte le donne, che prima di lei hanno subito danni pesantissimi, non dovevano essere vaccinate con un farmaco che, in adesione al protocollo sulla medicina di genere sottoscritto dal ministero della salute, doveva essere addirittura vietato al sesso femminile.

La preponderanza di uomini ai livelli decisionali nel contrasto alla pandemia non permette, a quanto pare, di riconsiderare la campagna vaccinale e la gestione in generale dell’emergenza, sulla base della presenza femminile.

La politica delle dichiarazioni è quella di scaricare la responsabilità sulla vittima di questa tragedia annunciata, menzionando le sue omissioni e la sua voglia di “tornare a una vita normale”, non menzionando neanche, invece, l’enorme caso che sta di fronte a tutte: quello che il sesso è una condizione imprescindibile degli esseri umani. Ciò che va bene per un nato maschio non è adattabile in nessun modo a chi nasce femmina.