IMG20150723095853709_900_700Negli ultimi anni si è cominciato a parlare del rapporto tra economia ed arte. Un argomento che a visto anche scontrarsi posizioni di chi ritiene che la cultura non possa essere monetizzata e chi sostiene invece che sia parte del patrimonio economico del Paese. Facciamo un esempio concreto : se il ministro Franceschini dichiara, ad esempio, che per vedere il Pantheon sia necessario pagare un biglietto pur minimo per sostenere i costi di gestione di luoghi meno frequentati, Montanari -docente di storia dell’arte- dichiara la sua contrarietà nel monetizzare la cultura. I costi di questa devono essere erogati non dalla comunità ma dalle istituzioni o da mecenati privati. Un dibattito che ha segnato la politica culturale degli ultimi anni, mettendo in primo piano il problema di come mantenere al meglio un patrimonio vastissimo per al meglio poterlo usufruire.

Così, si susseguono i convegni organizzati nelle varie regioni sul problema, non ultimo quello di BOLOGNA in occasione di Arte e Fiere  dal titolo: L’IMPATTO ECONOMICO DEGLI INVESTIMENTI IN CULTURA. IL CASO BOLOGNA che si terrà sabato 28 gennaio 2017 alle ore 10  a Palazzo Pepoli – Museo della Storia di Bologna  via Castiglione, 8 per la  Presentazione dei risultati della ricerca condotta da Nomisma per conto di Genus Bononiae – Musei nella Città sull’impatto economico e sociale generato sul territorio.  Intervengono:  Pierluigi Sacco- Professore Economia della cultura  Università IULM Milano, Claudio Bocci – Direttore  Federculture, Davide Conte – Assessore Bilancio e Finanze  Comune di Bologna, Angela Vettese – Direttrice Artistica di   Arte Fiera

 Volendo capire le radici di questo dibattito mi è sembrato interessante andarle a cercare in quella che poteva essere una ricerca a livello universitario per vedere quanto le giovani generazioni  ne erano coinvolte. Così, girando su internet, mi sono imbattuta sulla tesi di laurea di   Giulia Caldonazzi dell’Università Ca Foscari di Venezia dell’anno accademico 2010 2011-  Nella sua introduzione si legge:

… L’Italia,  fin  dal  Settecento,  è una  delle  mete  preferite  per  i viaggi;  si viene  nel  nostro  Paese  per  arricchire  la propria  cultura,  per  scriver e, per  dipingere,  per  imparare  l’arte,  per  il gusto  e  per  lo  stile.  Kahlil  Gibran  disse  “L’arte  degli  italiani  sta  nella  bellezza”…    ll primo  capitolo  tratta  l’accostamento  tra  cultura  ed  economia  da  un  punto  di  vista  teorico;  l’economia  dell’arte  è una  disciplina  recente,  infatti  prima  degli  anni  Sessanta  i due  ambiti  venivano  studiati  separatamente.  Per  parlare  di  economia  e cultura  è però  necessario  partire  dalle  basi  economiche,  quali  l’economia  de l benessere,  il  finanziamento  pubbilco  e il  fallimenti  del  mercato.  Si  cerca  poi  di  capire  l’impatto  che  la  cultura  può  avere  per  la  richezza  di  una  nazione,  con  particolare  attenzione  al caso  italiano.  Lo  Stato  italiano  assegna  meno  di  0,5  miliardi  di  Eur o annui  (0,03%  del  PIL)  ad  investimenti  nel  settore  culturale,  un  dato  alquanto  scarso  si  pensa  alla  capacità  del  settore:  che  in  Italia  rappresenta  il 2,6%  del  PIL,  quindi  un  Euro  investito  in  cultura  da  un  rimando  sette  volte  superiore,  senza  contare  l’aumento  nel  livello  d’occupazione  e all’incremento  d’immagine  per  il Paese.  È proprio  da  questo  dato  che  si  sviluppa  il filo  portante  della  tesi,  che  mira  a sottolineare  il potenziale  inespresso del settore culturale a livello economico   Il  secondo  capitolo  analizza le  preferenze  dei  consumatori.  Lo  strumento  utilizzato  è un  sondaggio,  somministrato  sia  a livello  nazionale  che  internazionale  (Francia,  Spagna,  Germania,  Regno  Unito  e  Stati  Uniti  i Paesi  considerati),  per capirne  i comportamenti  e le  aspettative.  Gli  ambiti  della  ricerca  sono  quattro:  consapevolezza  dell’offerta  culturale  e attrattiva  verso  i beni  culturali  (capire  il  concetto  di  cultura  nell’immaginario  collettivo  e come/quali  siano  le  informazioni  fornit e  sulle  iniziative  culturali),  abitudini  (cosa  spinge  maggiormente  i cittadini  a scegliere  una  determinata  offerta  culturale  e quanto  la  cultura  incida  sulle  scelte  turistiche  e di  tempo  libero),  nuove  tecnologie  (quanto  queste  siano  utilizzate  e quale  sia la  propensione  al  loro  uso)  e investimento  in  cultura  (quanto  l’opinione  pubblica  risulti  sensibile  al  finanziamento  del settore).  Il terzo  capitolo  tenta  di  dare  una  misura  economica  del  patrimonio  culturale  ed  artistico,  cercando  di  capire  come  questo  possa  arrecare  vantaggio  all’economia  e al  PIL  del  nostro  Paese,  prendendo  come  base  di  partenza  il modello  elaborato  durante  il progetto  Florens  10 2010 . Innanzitutto  sono  descritti  l’ambiente  e  le  caratteristiche  del  progetto,  poi  tale  iniziativa  viene  adottata  come  fonte  di  informazioni  e dati  sul  settore  culturale.  Il  quarto  capitolo  investiga  l’impatto  della  cultura  in  ambito  internazionale,  cercando  di  capire  come  mai  Paesi  con  una  richezza  di  patrimonio  artistico  minore,  risultino  capaci  di  attrarre  più turisti e agevolazioni rispetto alla nostra nazione; ci si serve degli stessi strumenti dell’analisi  nazionale per permettere una migliore comparazione dei dati raccolti. Attraverso  la  misurazione  economica  della  cultura  miro  a sottolinearne  il valore  anc he  dal  punto  di  vista  di  investimenti  e mercato,  per  mostrare  come  questo  tema  debba  essere  di  primaria  importanza  nell’agenda  politica  ed  economica  del  nostro  Paese;  cercando  di  guardare non solo ai problemi dell’Italia, ma anche alle sue potenzialità  

http://dspace.unive.it/bitstream/handle/10579/1608/829636-1154586.pdf?sequence=2

Interessante anche l’articolo di Vittoria Azzarita sul Giornale dell’arte su arte e impresa

http://www.ilgiornaledellarte.com/arteimprese/articoli/2015/7/124770.html