Anche quest’anno il Festival del Cinema di Roma ha presentato film interessanti. Tra questi mi ha colpito Au plus près du soleil, il film di Yves Angelo, regista francese, marocchino di nascita, sceneggiatore e pluripremiato direttore della fotografia.
L’incipit del film è l’incontro tra Juliette (Mathilde Bisson), la donna accusata di aver indotto l’amante al suicidio, e Sophie (Sylvie Testud), il magistrato che indaga sul caso. Alla ricerca della “verità” sul rapporto tra la donna e l’amante, Sophie scava nel passato di Juliette e scopre che da ragazza ha avuto un figlio, abbandonato subito dopo la nascita. Una verità viene subito a galla: quel bambino è Leo, figlio adottivo di Sophie. Lei dovrebbe, per etica – come dice Oliver, il marito avvocato (Grégory Gadebois), lasciare il caso e rivelare a Leo (Zacharie Chasseriaud) la verità sulla sua nascita, ma Sophie, troppo coinvolta emotivamente con Juliette va avanti con l’indagine. Fino a condannare la “rivale”.
Oliver, intanto, ha contattato Juliette, frugando nelle carte della moglie. Vorrebbe aiutarla, forse per riparare il danno che le procura Sophie o forse per se stesso; ma si lascia coinvolgere anche lui dalla femme fatale. Il film termina su una nave da crociera, uno spazio confinato da cui non si può scappare, dove si è prigionieri: è qui che il destino riunisce tutti i personaggi, compreso Leo, il figlio.
Il film fa immediatamente pensare ad una tragedia greca e non è difficile rintracciare sotto l’aspetto giovane e seducente di Leo, un “Edipo” usato dal destino per dimostrare che la vita degli umani è legata a forze imponderabili.
Sotto questa prima lettura, si avverte però un’altra tragedia, molto più contemporanea: lo stravolgimento dei rapporti familiari e sociali.
Nella famiglia di Sophie comanda lei, la donna colta che, come dice il nome, dovrebbe essere saggia e in quanto giudice dovrebbe fare valere una sola legge: per sé e per gli altri. Invece, Sophie è una donna in balia delle emozioni dentro cui si rotola fino a restarne stritolata; applica leggi “matriarcali” che prevedono soltanto possesso, visceralità, vendetta e falsità.
Oliver è un uomo debole, in balia di Sophie e Juliette. Vorrebbe essere giusto -dato che anche lui è un uomo di legge- e riparare il danno che Sophie procura a Juliette, ma le “leggi patriarcali” che professa valgono soltanto per la professione. Nel privato, Oliver le utilizza a suo uso e consumo: paga, si rende disponibile anche quando Juliette, prevedibilmente, gli monta addosso e lo fa “suo”.
Quando si è “Troppo vicino al sole” come dice il titolo del film, si sciolgono le ali di Icaro con cui ciascuno pretende di volare alto nella vita e inizia la caduta.
E’ il figlio a pagare il prezzo più alto.
Ma non succede così anche in molte delle nostre famiglie moderne per l’incapacità dei genitori di essere “sufficientemente buoni” come diceva Winnicott a proposito della figura materna ed anche di proteggere il figlio dai “demoni” che altro non sono che le debolezze che ci portiamo dietro dalle nostre infanzie?
Il film termina con un finale forte e coinvolgente lasciando allo spettatore molte questioni su cui riflettere.