Da solo e con la mascherina, Mattarella stamattina ha salito la gradinata dell’Altare della Patria in un 25 aprile diverso dai precedenti ma con analogie al primo, che ha segnato la rinascita del nostro Paese, la sconfitta del nazismo e del fascismo che per la Costituzione italiana, sempre bene ricordarlo, non è un’opinione ma un reato.

Quello di oggi, in corona virus, ci riconsegna in parte anche qualcosa che raramente è emerso in precedenza: lo stato d’animo di chi, dopo l’8 settembre, è entrato (la leva era solo maschile) in renitenza, isolandosi per mesi in quel marasma per poi confluire nella resistenza, lotta armata di uomini donne partigian* della libertà; lotta civile non meno basilare e pericolosa, nelle città e nelle campagne.

Specie il centro nord, sotto Tedeschi e Repubblichini di Salò, ha pagato un prezzo di sangue altissimo e in questo 25 aprile altre sensazioni – seppure in un clima lontano da quello della guerra e dei bombardamenti e delle ritorsioni e stragi – avvicinano le generazioni coeve, sempre anche ricordando che quelle protagoniste della Liberazione sono oggi particolarmente colpite dal Covid-19; senza generalizzare però, altrove l’invisibile virus sta falcidiando generazioni molto più giovani.

L’Occidente europeo che il 25 aprile celebra la Liberazione e nel prossimo 8 maggio, in Europa, ricorderà la resa ufficiale del Terzo Reich otto giorni dopo la fine della battaglia di Berlino (2 maggio 1945), trova altre analogie con la sua matrice: la lontananza dagli affetti.

Non poter incontrare, abbracciare, baciare, stringere le mani, accarezzare chi si ama dei tanti amori possibili, riconoscendosi, reciprocamente, testimoni di tutta o di un pezzo di vita, è un esilio sofferto negli aspetti più tragici quando la morte sotto forma prevalente ma non solo, virale, toglie per sempre la possibilità del ritrovarsi e recuperare; negli aspetti non meno dolorosi stante che i confini comunali sono barriere che non si capisce bene quando veramente cadranno ed è esperienza diffusa la dispersione familiare e parentale e amicale sui territori di vari Regioni e di Paesi europei ed extraeuropei.

La separazione dagli affetti, la paura di non rivedersi, la coscienza del pericolo, il sapere che chi si ama può correre il rischio di soffrire e morire da sol*, è un paradigma che riguarda ogni situazione in cui si realizzino queste condizioni e il sentire è similare, ieri come oggi, e generalizzato anche se le cause sono diverse. È anche un aspetto che si evidenzia maggiormente, ha una maggiore eco e rilevanza emozionale nel rileggere gli scritti del periodo delle persecuzioni nazi-fasciste e di quello post bellico, monografici e biografici; tre per tutti, diversamente esemplari: il Diario 1941-1943 “un altro mondo è possibile”, di Etty Hillesum (a cura di M. P. Mazziotti e G. Van Oord, Apeiron, 2002), morta ad Auschwitz il 30 novembre 1943; il romanzo L’Agnese va a morire, di Renata Viganò (Einaudi, 1994, Premio Viareggio 1949), da cui è stato tratto il film di Giuliano Montaldo con Ingrid Thulin; Donne italiane nella resistenza, con prefazione di Nilde Iotti, a cura di Ferdinando Etnasi (edizioni “Il calendario”, 1966), che alterna testimonianze a documenti, e riporta il testo della lapide affissa al Palagio di Parte Guelfa a Firenze:

Le donne d’Italia / resisterono / confortarono / spronarono / testimoniarono anche con la vita / che il focolare è prigione / il lavoro schiavitù se mancano / pace / libertà / giustizia

Di libertà personale, diritti costituzionali sanciti e rivendicabili, senza limite di appartenenza di età, sesso, fede, status sociale, si parla molto in tempi in cui la pandemia procura tanta e varia sofferenza, incertezza e paura. Tipi e scadenze delle limitazioni imposte sono banchi di prova per la popolazione intera, anche se le contingenze hanno gravità diverse; inoltre, il Covid-19 ha colpito in un periodo in cui si affollano eventi calendariali collettivi (8 marzo, Pasqua, varie Giornate internazionali, il 25 aprile, i 1° maggio) oltre a quelli individuali, rendendo ancora più visibile l’esito delle limitazioni imposte a garanzia della salute generale.

In apertura dell’iniziativa #iorestolibero/iorestolibera delle 14,30 di oggi, la Presidente dell’ANPI, Carla Nespolo, ha ricordato che nelle popolazioni antiche il termine “vecchio” corrispondeva a “saggio”, e che la celebrazione del 25 aprile, sebbene oggi priva del consueto incontro, manifestazione, canti, non perde di significato e di coralità. “La data, stabilita settantacinque anni fa, dal Comitato Nazionale di Liberazione Alta Italia” ha detto non è solo memoria e doveroso riconoscimento ma il ringraziamento a quella generazione di “saggi e sagge”, che “ci ha regalato oltre alla Liberazione dal nazismo e dal loro servo fascista, una meravigliosa Costituzione che parla di pace, di salute, di lavoro, di uguaglianza, di libertà”.

C’è ancora tanto da fare nella società e nelle scuole per realizzarla, ha ricordato Carla Nespola in un intervento forte e positivo, lo sguardo dritto e sicuro che la sua generazione, che tante prove ha superato, condivide con il nostro Presidente della Repubblica Matterella; sguardi e parole che sanno rivisitare senza retorica il passato, analizzare e insegnare l’oggi e delineare il futuro.

È quella generazione che in Italia, da molto tempo, supplisce alle carenze dello stato sociale, alla mancanza di asili nido, alle urgenze d’accompagno, d’assistenza e abitative di quelle successive, spesso mantenute con le proprie pensioni in un Paese dove il Covid-19 ha spietatamente messo in evidenza la realtà dei fatti e delle relazioni. Dalla crisi odierna, ha ricordato la Presidente dell’ANPI, si può uscire con atteggiamento positivo e costruttivo, tutte e tutti insieme, “così come l’Italia ha saputo, unita, con l’aiuto degli Alleati, liberarsi dalla dittatura e dalla guerra”. Ha perciò concluso augurando “Buon 25 Aprile! Facciamo sì che da questa tremenda esperienza esca una società più giusta, più libera e solidale”.