Ieri, 22 maggio, è stato il 46° anniversario dell’entrata in vigore della legge n. 194/1978 che ha sancito la possibilità per le donne di interrompere volontariamente una gravidanza e di farlo nelle strutture pubbliche. Con la legge 194, finì l’epoca degli aborti clandestini (l’aborto era considerato reato penale) e per la prima volta fu sancita la libertà di scelta delle donne sull’interrompere o meno una gravidanza nei primi 90 giorni.

Ieri in molte parti d’Italia ci sono state manifestazioni per difendere la legge dagli attacchi che si intensificano: l’ultimo, quello dell’approvazione in Parlamento, lo scorso 16 aprile, di un emendamento di Fratelli d’Italia al disegno di legge di conversione del decreto per l’attuazione del Pnrr che autorizza l’operatività nei consultori delle associazioni pro-life.

Sono attacchi alla libertà di scelta delle donne sul proprio corpo, ma non sono i più dannosi. Maggiore danno fanno la mancata applicazione della legge 194/1978 e, in particolare, il fatto che un alto numero di obiettori di coscienza (tra ginecologi, anestesisti e, genericamente, personale medico) rende di fatto impossibile alle donne praticare l’interruzione volontaria di gravidanza nelle strutture pubbliche, soprattutto in alcune aree del Paese.

I dati sull’obiezione di coscienza forniti dal Ministero della Salute nella Relazione del 2021 sull’attuazione Legge 194/78, che riporta dati del 2019 e preliminari del 2020, confermano che le interruzioni di gravidanza diminuiscono costantemente, ma confermano anche un’alta percentuale di obiettori (63,4% dei ginecologi, 40,5% degli anestesisti e 32,8% del personale non medico). Ma questi dati, che sono sostanzialmente vecchi, mostrano anche che il fenomeno dell’obiezione di coscienza penalizza le donne in aree determinate del Paese, e non è difficile immaginare quali.

Un quadro più attendibile su quale sia la realtà delle cose si può trovare nel monitoraggio “Mai Dati” – l’inchiesta condotta da Chiara Lalli e Sonia Montegiove – pubblicato sul sito dell’Associazione Luca Coscioni: ci sono strutture ospedaliere in cui la percentuale di personale obiettore raggiunge il 100% o supera l’80%.