“Ma lo Statuto cosa dice?”. “Prevede tre diverse possibilita’: sezione territoriale, di fabbrica e tematica”. “E noi cosa saremmo?”. “Nessuna delle tre”.
Sono gli interrogativi che hanno accompagnato, a Milano, la nascita nel Pci di una sezione di sole donne. Gli uomini – che non possono iscriversi – sono sconcertati. “Ma le donne ci stanno telefonando da ogni parte d’Italia”. “Siamo partite in nove, dice la promotrice. Siamo del «sì» e del «no», non è questo il problema. Adesso siamo diventate tantissime… “. Per bandiera due simboli sovrapposti: quello del PCI e quello femminista.
Qualche anno fa Crista Wolf, la maggior scrittrice della Germania dell’est, pubblicò un romanzo che fu accolto con grande entusiasmo dal pubblico femminista. Si raccontava la storia di Cassandra, la sfortunata figlia di Ecuba e Priamo. La sacerdotessa troiana racconta la sua storia ed anche dei suoi incontri con le donne che conservano, fuori dalle mura della citta’, antichi saperi che si tramandano tra di loro. Giovani e vecchie, schiave e nobili costituiscono la comunita’ dissidente che si riunisce al di la’ del fiume Scamandro. Per praticare il loro dissidio non vogliono né morire né uccidere, come Pentesilea e Clitennestra, ma vivere; dimostrare che si può reintrodurre nel ciclo della vita quello che il sapere dominante ha escluso.
Un recente evento nella vita culturale milanese da’ l’impressione che questa comunita’ sia uscita dalle pagine del romanzo. Il tempo non è quello della guerra troiana, il luogo non è ai piedi del monte Ida, non ci si incontra più solo all’imbrunire ma l’attenzione e la polemica attorno a questa storia è sicuramente maggiore di quelle descritte nel romanzo della dissidente comunista tedesca.
“Il fotografo dell’agenzia ci ha ritratto intente alla pulizia e all’arredo. Ci è sembrato giusto appenderle perché parlano della nostra storia”.
Così Mariuccia Masala, giornalista e promotrice insieme ad altre donne della costituzione della prima Sezione comunista esclusivamente femminile, giustifica le poche fotografie appese alle pareti.
Le due stanze sono intitolate ad una grande dirigente del Pci morta in un campo di concentramento: Teresa Noce.

I muri della sezione posta al secondo piano nella vecchia palazzina liberty nel quartiere Quarto Oggiaro, alla periferia di Milano, sono stati ripitturati di recente. La porta, le finestre e il tubo della stufa hanno un intenso colore lilla che contrasta ancora di più con il bianco delle pareti. I graziosi separé bianchi, le panchette di legno e i cuscini colorati danno alla stanza un aspetto caldo e accogliente. Su un lato della sala un piccolo ritratto della dirigente comunista e una bandiera con la sovrapposizione di due simboli: quello del Pci e quello femminista.
“Questo è un luogo dove si può praticare la relazione tra donne e dare vita a quell’autonomia che può rivitalizzare tutto il modo di fare politica”, afferma la giornalista milanese.
“La costituzione di un luogo politico che parte dall’assunzione della differenza di genere si è resa necessaria perché – si legge nel documento di costituzione della sezione stessa – la pratica politica delle donne dentro e fuori il partito ha portato il Pci ad assumere la differenza sessuale come valore nei documenti congressuali e nello statuto, ma non ha inciso sulla forma organizzata e sui contenuti dell’agire politico”.
“E’ con la fine del congresso di Bologna che ha inizio il silenzio delle donne comuniste alla cui origine c’è stato uno scacco che abbiamo subito tutte. Siamo donne che si erano schierate per il «Sì» e per il «No» ma tutte vogliamo pensare la politica a partire da noi stesse e la sezione di sole donne ci è sembrata la risposta più adeguata. Ci stanno chiamando da diverse parti, c’è molta curiosita’ e in altre citta’ vogliono ripetere la stessa esperienza” – prosegue Mariuccia Masala – autrice del libro, pubblicato proprio in questi giorni, che racconta la nascita della sezione.
C’era molta animazione la sera dell’inaugurazione: le strade adiacenti la piazza Santorre di Santarosa erano gremite di macchine provenienti da molte parti d’Italia. Tante evidentemente, avevano deciso di intraprendere anche un lungo viaggio pur di non mancare all’appuntamento. Iscritte al Pci, simpatizzanti ma anche rappresentanti dalla parte più feconda della elaborazione teorica sul pensiero della differenza sessuale; la Libreria delle donne di Milano, il centro culturale W. Woolf di Roma, rappresentanti dell’Udi, filosofe e parlamentari e Lucia Mastrodomenico della redazione della rivista “Madrigale”.

“Siamo partite in nove – sostiene Masala – adesso le iscritte alla sezione sono tantissime. Molte donne hanno chiesto la tessera proprio in seguito alla nostra iniziativa, altre hanno chiesto il trasferimento dalla sezione di origine”. Le promotrici stanno perseguendo un progetto ambizioso: segnare la politica con il proprio sapere di donna. E’ un progetto che se entusiasma alcune è contrastato da altre.
Miriam Mafai, celebre giornalista comunista, sulle pagine di “Micromega” scrive un articolo dove attacca duramente tutta l’esperienza delle donne (iscritte e non al partito) sui temi della differenza sessuale. Gli fanno subito eco qualche dirigente (come Emanuele Macaluso) e qualche astioso “ex” (come Giuliano Ferrara).
“La nostra è una scommessa – conclude Masala – il tentativo di guardare la realta’ con voce autonoma può avere senso soltanto se altre donne, comprendendo il significato del nostro gesto, tracceranno altrettanti percorsi autonomi”.

{{Il primo libro che le racconta}}

La prima sezione di sole donne del PCI ha gia’ avuto la storia della sua nascita.
“Signora Sezione” è il titolo del libro appena uscito, scritto da Mariuccia Masala, giornalista e iscritta alla “Teresa Noce” (questo è il nome scelto per la sezione), edito da Magistra, una casa editrice di donne napoletane, in vendita a L. 12.000 nelle cento librerie preferite dalle donne.
La scelta stilistica è caduta sulla cronaca e sul racconto degli avvenimenti così come li hanno vissuti le nove fondatrici della sezione autrici di una postfazione al testo.
Questa scelta è nata da una duplice esigenza: raccontare, a tante donne, soprattutto del Pci, di un gesto che pone a suo fondamento cose apparentemente complesse come “politica della differenza”, “relazione tra donne”, “politica delle donne”, “autonomia femminile” e, in secondo luogo, rendere esplicito a quanti e quante continuano a polemizzare col femminismo italiano sulla presunta “cripticita’” del suo linguaggio, di cosa si tratti in realta’.
Ecco qualche brano di un significativo dialogo: “Ma lo statuto cosa dice?”. “Prevede la possibilita’ di costituire tre diversi tipi di sezione: territoriale, di fabbrica e tematica”. “E noi cosa saremmo?”. “Per la verita’ non siamo nessuna delle tre”. “Potremmo farla rientrare in quella tematica e il tema è la differenza sessuale”. “Che orrore: sezione tematica!”. “Il punto è che in una sezione tematica potrebbero iscriversi anche gli uomini”. “Gia’, come facciamo a far capire che non possono?, come facciamo a fare capire che questa è una forma autonoma e i compagni, se credono davvero ad un partito di uomini e di donne, devono rispettarla?”.

{(Da {Avvenimenti}, 31 Ottobre 1990)}