Se la misura dovesse andare in porto così come immaginata dal leader del M5s, Luigi Di Maio, non mancheranno i ricorsi da parte di immigrati e associazioni.- Reddito di cittadinanza solo agli italiani? Dal punto di vista giuridico viola almeno due direttive dell’Unione europea. Ma se il Parlamento italiano varerà comunque un provvedimento così impostato, nei tribunali italiani arriveranno ben presto i ricorsi presentati da immigrati e associazioni. “La Direttiva europea n.109 del 2003 è molto chiara – spiega Alberto Guariso, avvocato dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) -. I migranti lungosoggiornati, che sono circa il 65 per cento di quelli presenti nel nostro Paese, hanno gli stessi diritti degli italiani quando si tratta di prestazioni sociali”. Una legge che gli escludesse potrebbe essere addirittura bloccata dal Presidente della Repubblica. “Ma comunque siamo pronti a presentare i ricorsi nei tribunali. L’abbiamo già fatto anche per altre leggi o delibere comunali. E i giudici ci hanno dato sempre ragione”.

L’altra Direttiva europea è la n. 98 del 2011, che riguarda soprattutto chi ha un “semplice” permesso di soggiorno per motivi di lavoro o altro (quindi da rinnovare periodicamente). Per loro la direttiva prevede una serie di misure di sostegno: dall’assistenza sanitaria alle “prestazioni di maternità e di paternità assimilate” così come “le prestazioni d’invalidità; le prestazioni di vecchiaia … e le prestazioni di disoccupazione”. Il reddito di cittadinanza potrebbe rientrare in questo elenco, visto che comunque è finalizzato al reinserimento delle persone nel mondo del lavoro. Il limite degli eventuali ricorsi nei tribunali è che le sentenze valgono solo per ogni singolo caso trattato. “Il paradosso è che il reddito di cittadinanza dovrebbe combattere la povertà – aggiunge Guariso -. Ma poi costringe una parte dei poveri a ricorrere all’avvocato, dando il via a una serie di innumerevoli ricorsi, con perdita di soldi e tempo”.

“Mi chiedo che senso abbia pensare che se il migrante è povero non meriti di essere aiutato – sottolinea Guariso -. Forse si pensa che possa esistere e stare in Italia solo quando ha lavoro e reddito. Ma questa idea è in contrasto anche con la legge Bossi-Fini. In base all’art. 9 il reddito minimo che garantisce al migrante un permesso a tempo indeterminato è pari all’assegno  sociale (euro 5.889)  ed è quindi inferiore persino all’attuale limite del Rei (6 mila euro di Isee)  e dunque è a maggior ragione inferiore a quello che si vorrebbe introdurre per un reddito di cittadinanza. Dunque per rimanere in Italia basta avere un reddito di 6 mila euro, che è una condizione di povertà, ma non si vuole riconoscere a questi immigrati la possibilità di usufruire di una misura pensata per combattere la povertà”. (dp)