E mentre si passa da una tarda estate ad un Natale nevoso e il sole tramonta sulla pianura , ascoltando le storie di Guido Conti  abbiamo davanti agli occhi il romanzo tragicomico di un secolo.

Così è presentato Il  Tramonto sulla pianura,  narrazione  sapientemente costruita , scanzonata ed  intrisa d’ ironia . E’ il romanzo affresco letterario sobrio e profondo, con un viraggio dentro voci di demoni interni ai personaggi, gli ospiti della casa di riposo denominata La Villa, nei dintorni di Parma.

Dopo il funerale della moglie Eugenio  viene caldamente consigliato dal figlio, desideroso di liberarsi di un genitore malgradito anche alla propria sposa, di trasferirsi in una casa di riposo. Il nostro, dunque, consumati anni  lontano da legami significativi,  pur dubbioso e con più o meno espresse resistenze,  prende atto di come la sorte gli presenti il conto  del disamore filiale.

Eppure, anche se  riottoso nell’animo, Eugenio  riesce a trasformare la decisione assunta in  scelta, ritrovando così il desiderio di non sentirsi  troppo  un rottame. Sono della narrazione i ricordi soggetti veri, indici eloquenti ed espliciti di un contatto coll’esiguità del tempo rimasto,  desiderosi gli ospiti de La Villa possa  ancora accadere qualcosa, magari ridiventare  importanti  per qualcuno…

Una nostalgia profonda, più o meno confessabile, mette passo nelle stanze de la Villa , padrona di un po’ tutti gli ospiti,  per lo più disillusi, capiti qualcosa di non previsto nel copione scritto da malattia e  vecchiaia.

Eugenio guardò il prato, l’erba verde che cresceva rigogliosa e grassa, e ricordò quella della sua infanzia, quando aveva rubato le ciliegie sulla pianta di un amico.

E si lasciò toccare il cuore da un sentimento di nostalgia come mai gli era capitato.

Brividi di allegria, talvolta impenitenti, s’alternano alla tristezza che induce un pensarsi sommesso, a volte schivo, talvolta  forte di slanci di  ribellione. Sono i personaggi di Guido Conti erranti e al tempo stesso stanziano come gli  storni  che svolazzano fastidiosi su quel lembo di pianura, luogo di anime alla ricerca di sé, ambivalenti fra una  rassegnazione asettica e l’amaro  doversi riadattare a rimorsi e rimpianti.

Gli storni erano migliaia (…) e loro cominciarono  a urlare alle bestiacce. Cominciarono a divertirsi a fare quegli urli, il duca imitava il verso della cornacchia, anche Ansaloni urlava come un lupo mannaro una specie di canto per cani maschi in calore. Un urlo che covava dentro da anni e anni(…).Che facciamo adesso?, insisté Frusta. Aspettiamo il tramonto, rispose il duca , come recitando un copione (…). E’ uno spettacolo che non costa niente.

E’ il tramonto assimilabile ad  uno stato della mente,  si riassapora il gusto della giornata appena trascorsa, si accetta, nella bellezza del presente, l’obbligo di commiato, auspicando al tempo stesso di non sentirlo troppo.

Il sole sparì oltre le colline azzurre e le ombre scesero a coprire la pianura , velocemente (…) il cielo restò d’oro. La cenere del tramonto lasciava polveri di rosso e di viola all’orizzonte. I tre rimasero per un attimo in silenzio.

Il presente racchiude,  con grazia,  il barbaglio di ciò che si avverte  sospeso, per legarlo nel rimpianto di ciò che  non potrà più essere.

Eugenio avverti’ una presenza come un’ombra.  Si voltò e vide la signora con l’abito scuro (…) sembrava un fantasma arrivato da un tempo lontano, come un ramo antico arenato sulla spiaggia del tempo (… ). Nel salone cominciavano ad  accendersi le luci.

Il tormento ed il senso di solitudine  è  ben scandito dal non detto di sguardi e silenzi,  e talvolta stroppia nel desiderio di ferire, quasi infierire, così che raffiche di  parole ed  immagini paiono  animare, sparigliando, le poche carte ancora rimaste sul tavolo.

Sentiva dentro una specie di smacco, come capita ad un frutto quando prende una botta e comincia lentamente a marcire.

Scrivere è anche potersi liberare  da tutto questo?!.

La televisione vi rimbambisce già a sufficienza, e non è certo il caso di dare una mano alla natura così ricca di doni con voi, bofonchia più o meno esplicita, in più di un’occasione anche  più o meno trionfante Suor Donata, alter ego dei personaggi del romanzo in queste sue frustate di verità senza veli. Ennesima caricatura di come ci si può sentire da troppo vecchi!?

Conquistata una condizione di compiutezza è davvero quello il momento di verità nel quale l’uomo, in quanto maschio, riesce a  stare al mondo dentro la sua vecchiaia?!

Di segno diverso  il romanzo  di Minna Lindgren, Mistero a Villa del lieto tramonto, pubblicato  a giugno  2015  e  già tre mesi dopo la pubblicazione alla seconda edizione.

E’ chiaro fin da subito come le protagoniste di questo romanzo, vivaci novantenni dal  piglio tonico,  mostrino una capacità di entrare in medias res  di segno altro rispetto alla levigatezza  stilistica che connota molti dei personaggi di Conti. La morte del giovane cuoco, morte fin da subito molto sospetta, e la preziosa  collaborazione della comune amica Anna Lisa trasformano Irma e Siiri  in tenaci investigatrici  desiderose di  venire  a capo di enigmi, soprusi e sconfortanti ingiustizie, più o meno abilmente dissimulate all’interno delle mura di quell’amena residenza.

La vicenda    all’interno della casa di riposo diventa  poi  un susseguirsi di piccoli colpi di scena, di astuzie ingenue, di ribellioni tenaci  quanto struggenti, inesausto lo sforzo  di conservare autonomia e capacità decisionale all’interno della propria giornata .

Una prosa  valutata molto simile a quella  guareschiana,  quasi caricaturale nel tratteggio e nel bozzetto, rende il romanzo di gradevole ed agevole lettura.

Ogni mattina Siiri Kettunen si svegliava con la  consapevolezza di non essere ancora morta.  Si alzava, si lavava, si vestiva e faceva colazione. Procedeva con calma, tanto di tempo ne aveva. Leggeva con cura il giornale e ascoltava i programmi radiofonici del mattino. Erano abitudini che la facevano sentire ancora parte del mondo.

La narrazione della Lindgren, complice presumibilmente l’attenta traduzione di Irene Sorrentino, mostra agilità nelle argute conclusioni, asciutta  non involve in drappeggi stilistici.

Dice di sentimenti, ma non è il testo pervaso da toni sentimentali, piuttosto vibra di accorate complicità e tenere sollecitudini attraverso  le quali le tre amiche possono guadagnarsi  l’una la protezione dell’altra.

E’ dunque, e soprattutto,  la storia di amicizie,  in barba alla morte, così  spesso e apertamente nominata da venir  in fondo amputata  del fascino del mistero e del piglio della imprevedibilità.

Irma e Siiri guardano  i loro corpi   con il distacco da sé, abitano altrove, non vogliono   – e a tutti i costi  – conservarsi dentro corpi  che non mutano.

Così, se  un’operazione al cuore diventa il farsi mettere un pezzo di ricambio, hanno consapevolezza, forti del  disincanto attraverso il quale  guardano alla realtà,  che un successo in medicina, ed alla loro età, altro non sarebbe se non il prolungamento di una condanna.

Perché, conclude seccamente Siiriintervenire con un pezzo di ricambio in una donna di novanta anni è pura follia.

La volontà di  voler vivere a tutti i costi non anima le tre protagoniste, sempre più convinte  che  chi supera i 90 anni smette di invecchiare .

Una cosa terribile(…) ed i sopravvissuti fino ai supplementari rischiano di perdere l’appuntamento con la morte .

Sulla testa degli anziani sembrano essere prese  tutte le decisioni del mondo, Siiri lo enfatizza, ma proprio per questo non vuole affatto adeguarsi.

Nel suo bilocale, all’interno della casa di riposo, desidera conservare spazi per gli oggetti  che testimonino della vita così come l’ha vissuta, facendole buona compagnia.

E  sul balcone  preferisce tenerci  i fiori.

Una lezione di dignità e  coraggiosa.

Sono donne, si mostrano disubbidienti al rituale asettico voluto da altri, abitano col piglio delle estranee luoghi  di emarginazione e lontananza dalla vita, sono ben disposte  a dare voce a quella vivace bizzarria, meticciata di logico pragmatismo, che anima giornate all’interno delle quali i farmaci finirebbero  per esercitare, invece, un’azione sempre più potentemente  dominante.

Quel portapillole era la prova del complotto ordito dal personale del lieto tramonto.

Se avesse preso   tutti quei farmaci avrebbe cominciato a dare i numeri.

E se invece si fosse rifiutata, sulla sua cartella clinica si sarebbero accumulate note negative a dimostrazione che stava perdendo lucidità (…) perché in una residenza per anziani si arriva solo quando ormai non c’è più nulla che funziona.

 Riferimenti bibliografici

Guido Conti, Il tramonto sulla pianura,Guanda,Parma, 2005

Minna Lindgren, Mistero a Villa del Lieto Tramonto, Sonzogno,Venezia, 2015