…e poi anche quelli che maestri non lo sono stati per mestiere ma le loro scelte e pratiche di impegno li hanno resi tali.

Cattivi perché disobbedienti ai sistemi educativi conformati e conformanti e capaci di proporre pratiche altre.
Per questo profeti scomodi. Rivoluzionari e nonviolenti. Perché una educazione con e per la nonviolenza è lotta verso un sistema e affermazione di altri modelli che si fondano e  fondano su principi e valori di uguali opportunità e di attenzione verso tutto e tutti.
Ecco: oggi una educazione nonviolenta nel nostro sistema educativo è necessaria.
Educare proponendosi di coltivare, fertilizzare, generare per consegnare a nuove educatrici, nuovi educatori e insegnanti la profondità e necessità di un pensiero e di una didattica nonviolenta, è la premessa posta da Gabriella Falcicchio autrice di questo libro. La persuasione, sua e nostra, è che la nonviolenza può portare alla luce un’umanità più in pace che sceglie di essere più lenta, più profonda, più gentile.
E tutto questo non è legato a una possibile riforma scolastica o un Ministro piuttosto che a un altro. Ma a come ciascuno sceglie di essere educatore e maestro. Perchè la nonviolenza #dipendedanoi.

La nonviolenza continua nei decenni e nei secoli a scorrere come un pacato fiume sotterraneo che di tanto in tanto affiora in fresche sorgenti e che, anche nel contesto italiano, non cessa di fertilizzare senza clamori il terreno sociale. Lontana da pretese assolutizzanti, essa resta aperta, come voleva Aldo Capitini, il padre della tradizione nonviolenta italiana: aperta a coltivare e generare nuove pratiche di convivenza e condivisione tra gli esseri venuti alla vita. Anche per continuare a coltivare, a fertilizzare, a generare, nasce questo libro, nella persuasione che la nonviolenza può portare alla luce un’umanità più in pace, che sceglie di essere, come voleva Alex Langer, più lenta, più profonda, più gentile. L’educazione con e per la nonviolenza è drammaticamente cosciente dei limiti della realtà, ma non rinuncia a tendersi in avanti, a sporgersi su un futuro di liberazione che abbracci i Tutti e dischiuda per Tutti la dimensione della festa. Tutti è il plurale di Tu, diceva Aldo, parola sacra, categoria principe, parametro irrinunciabile di ogni discorso pedagogico, e quindi politico. Al cuore di ogni riflessione in tal senso, resta la domanda capitiniana: Dobbiamo aiutarlo [il fanciullo] a svilupparsi per far parte di questa umanità-società-realtà, pur nella nostra convinzione che questa umanità-società-realtà non sia accettabile?. La risposta farà da discrimine tra un’educazione che accetterà il reale come naturalmente buono (o legittimamente cattivo) e chiederà ai nuovi nati di adeguarvisi per riprodurlo e un’educazione che sceglierà l’opzione radicale di aggiungere tramutando.