Il lacaniano Massimo Recalcati abita in permanenza la prima pagina del quotidiano “la repubblica” per sparare pillole psicoanalitiche a uso e consumo dei lettori/lettrici allo scopo di illuminarli/e sul cammino nelle società globalizzate post patriarcato (si fa per dire). Così anche l’ultimo articolo pubblicato il 28 febbraio con il titolo “Ciao figlio, è il tempo della mamma Narciso”.

Chi è la mamma Narciso della post modernità? Perbacco, è la donna che pensa alla carriera e fa soffrire i figli, quando li mette al mondo, o rifiuta di farli, i figli. E il padre che pensa alla carriera? Legittimo, come quando c’era il patriarcato (che c’è ancora). Scrive, esattamente, il lacaniano psicoanalista: “ La spinta divoratrice della madre. Coccodrillo si è trasfigurata nell’ossessione per la propria libertà e per la propria immagine che la maternità rischia di limitare o di deturpare. Il figlio non è una proprietà che viene rivendicata, ma un peso del quale bisogna sgravarsi al più presto. Si tratta di un’inedita patologia (narcisistica) del materno.”

La madre chioccia “destinata a sacrificarsi per i suoi figli e per la sua famiglia, era la madre della disponibilità totale, dell’amore senza limiti”. E, per carità, nessuno la vuole resuscitare perché, tra l’altro, “nascondeva spesso un’ombra maligna”. Ma le donne dell’era dell’emancipazione che si rifiutano di fare solo le madri, vanno bollate come affette da patologia narcisistica. Ecco , di nuovo, un esempio di come la psicoanalisi allo stato puro, cioè svincolata da una correlazione necessaria con la lettura sociologica e antropologica, può diventare il verbo perfetto per battaglie di retroguardia, e patriarcali. La sociologa Chiara Saraceno, non ospitata in prima pagina, ha replicato (2.3.2015, “Non c’è scampo per le madri”) su “la repubblica” a Massimo Recalcati.

Scrive Saraceno: “ (…) Recalcati rischia di ridurre al vecchio aut aut (o la maternità o la carriera) il ben più complesso dilemma Wollstonescraft al centro di moltissime riflessioni femministe: come riconoscere il valore e il diritto a dare e ricevere cura senza perdere il diritto ad essere anche altro (cittadine, diceva Wolstonecraft). In particolare sembra pensare che, sia sacrificio o desiderio, l’amore materno, a differenza di quello paterno, deve essere al riparo da altre passioni, desideri, attività. E che la generatività delle madri si esaurisca nel, certo importantissimo amore (e accudimento) per i figli, non anche per la capacità di essere individue distinte dai propri figli, con un pensiero e progetti su di sé che non si esauriscono nella maternità, anche se la comprendono. Questa seconda generatività sembra esclusivamente appannaggio dei padri, loro sì capaci di separarsi e separare.”

I padri appunto, oggetto di tante riflessioni da parte dello psicoanalista lacaniano per dimostrare che se manca la figura paterna della legge, crolla il mondo. Ai padri conferisce, in continuità con il pensiero (soprattutto) che discende dalle teologie delle tre religioni monoteiste, la capacità e l’onore, di portare nel mondo delle leggi, i figli. Alle madri il privato, ai padri la scena pubblica.
Il maschio deve pensare fortemente alla propria individuale realizzazione nel mondo se vuole sottrarsi alla madre fagocitante (coccodrillesca!) .

In Cosa resta del padre (ed. Cortina, 2011) M. Recalcati descrive il dramma dell’”evaporazione del padre” che non può più incarnare la Legge, ma non trova la strada per diventare Testimone moderno della Legge, del Senso, della Verità possibile. Rischiando di abbandonare i figli alla madre narcisa.

Appunto, agli uomini, ai padri Recalcati conferma il ruolo (naturale?) di dare il senso della vita, la norma, e anche la Verità; in perfetta continuità con la figurazione del dio assoluto, Allah, Geova, Dio-Padre, ecc.