Cominciare la lettura de “L’isola delle madri” di Maria Rosa Cutrufelli all’inizio dell’isolamento per la pandemia da Covid-19 può sviare, e di molto. La condizione che tutte/tutti viviamo, il distanziamento sociale, insieme al persistente e comune sentimento/speranza: “nulla sarà come prima” (quando la pandemia sarà passata), induce a ricercare nelle pagine dell’ultimo romanzo di Maria Rosa Cutrufelli i segni, gli indizi, il senso della catastrofe che stiamo vivendo e a perdere, forse, il significato più profondo del libro.

È la stessa autrice che, nella “piccola nota a margine” che conclude il racconto, spinge chi legge in una direzione precisa: infatti, risale agli studi e ai racconti del proprio padre, chimico negli Anni Sessanta; al testo che ha inaugurato il movimento ambientalista – “Primavera silenziosa” di Rachel Carson, alla quale il romanzo è anche dedicato; alla mobilitazione per il cambiamento climatico.

Il primo impatto è con un mondo, anzi, con una Terra distrutta dall’inquinamento chimico e dalla speculazione, che a tutte le latitudini ha perso il proprio profilo, trasformandosi in un panorama da incubo, con alberi rinsecchiti e ricoperti di plastica fluttuante in un’atmosfera senza più luce dove minacciose nubi tossiche si sprigionano all’improvviso, dove il colore verde (dei prati e dei boschi) è definitivamente perso e assorbito/plagiato da un mare mortifero, traboccante di germi insidiosi e plastica. La conseguenza ultima dell’opera dissennata degli umani è il Grande Vuoto, la sterilità, di donne e di uomini, l’impossibilità, tranne che in casi eccezionali, di riprodursi in modo naturale. Da qui la necessità, per il genere umano, di ricorrere alle biotecnologie per sopravvivere.

È il giovane Giko, studente universitario, attivista, direttore del giornale dell’Università, protagonista di una legal story – una storia nella storia, di denuncia dell’operato criminale di una grande azienda agrochimica – che spiega la correlazione all’assemblea studentesca: ciò che hanno fatto con i semi dei cereali lo stanno facendo a noi, stiamo diventando semi geneticamente modificati, “semi che in futuro non produrranno altri semi.”

Il tempo del Grande Vuoto è dunque lo scenario nel quale si svolge la storia, anzi, nel quale si svolgono le storie di Kateryna, Livia, Mariama, Sara, e Nina, che solo alla fine del racconto svela la propria identità, ricongiungendone tutti i fili.

Ma quello del Grande Vuoto è lo scenario, è lo spazio scenico, non è “la scena”. Nel libro di Cutrufelli la “scena” è più profonda, affonda le radici nel mito, è la scena della maternità. Non a caso, l’isola delle madri, dove ha sede il centro medico dello scienziato dottor Weaver che dà a chi lo vuole, e non può generarlo, un figlio, è l’isola dove sorgeva il tempio di Demetra. Livia, che è un’archeologa, torna dopo vent’anni all’isola nella quale aveva partecipato da studentessa agli scavi, e nota come le colonne del tempio abbiano il colore biancastro delle ossa e della morte avendo perso il loro colore originario che è quello della terra, della vita che si rinnova ogni volta grazie all’incontro di Demetra con sua figlia Persefone quando questa, periodicamente, torna dal regno dei morti.

Neanche qui dobbiamo, però, farci sviare. Non sono il mito, e neanche la tragedia greca, molto presente lungo il racconto, il fulcro, il nocciolo dell’interrogazione dell’autrice intorno alla maternità. Un’interrogazione che ha a che fare con il presente, molto più del futuribile scenario della catastrofe ambientale con conseguente pandemia o dell’arcaico mondo della maternità nel mito greco, un mondo che finisce i suoi fasti con la tragedia di Oreste ed il matricidio.

Non è la Grande Madre l’oggetto della ricerca di Cutrufelli, ma l’interrogazione, morale e politica, su che cosa significhi essere madre, oggi, ed è una interrogazione che nasce da quelle che la stessa Maria Rosa Cutrufelli, in una intervista, ha spiegato essere le sue due grandi passioni: la scrittura e la politica delle donne.

Non potendo raccontare la trama del bel libro – tra l’altro, ognuna delle storie delle protagoniste potrebbe essere letta come una storia a sé – mi limito a segnalare che l’intreccio ha il suo punto di svolta in un convegno sull’isola delle madri. Qui e in questo momento, tutti i fili cominciano a intrecciarsi (a proposito, Weaver, in inglese, significa tessitore). Livia decide di partecipare ad un convegno dal titolo “Dalla madre alle madri, un percorso storico”, un titolo, agli occhi di Livia, piuttosto generico. Ascoltando la relazione introduttiva della sua collega docente universitaria che ha organizzato il meeting (sponsorizzato dal centro medico), Livia si ricrede: più che interrogarsi sul mito di Demetra e sul potere materno nell’area del Mediterraneo (titolo originario, poi cambiato, del convegno), serve “attraversare il mito per raggiungere la concretezza del presente” e chiedersi: “Chi è una madre? Che cos’è una madre? Perché, all’improvviso, è diventato così difficile definirla?”

Sull’isola, ci sono madri uovo, madri canguro, madri giardiniere: le prime sono quelle che donano gli ovociti, le seconde quelle che portano avanti la gestazione, le terze quelle che crescono i bambini. Tutte e tre sono madri, più o meno riconosciute in quanto tali nel complesso castello giuridico costruito intorno al centro medico che opera per rendere possibile la sopravvivenza della specie nella pandemia di sterilità.

Poi ci sono le implicazioni morali: quanto è giusto pagare per raggiungere l’obiettivo di avere un figlio? Non è semplice la risposta, non è scontata perché, fa notare la direttrice del centro medico, Sara, non conta solo il dare e l’avere, ma ci sono le relazioni, e come si fa a tenere una contabilità precisa delle relazioni umane?

Sono interrogativi che possono dare angoscia, e Maria Rosa Cutrufelli non rinuncia a porli, pur nella forma del racconto. E, sempre nel racconto, però, indica anche non una soluzione, ma una via: la centralità è la relazione. Nina, dopo aver a lungo cercato, con angoscia, di risalire indietro nel tempo alla ricerca della “storia che ti precede” e che ti dà consistenza, arriva a una conclusione rasserenante, per lei e per noi, e dice: “la repubblica delle madri, a suo modo, ha funzionato.”

Maria Rosa Cutrufelli, L’isola delle madri, Mondadori 2020