Una sala gremita ,di giovani donne , meno giovani e un certo numero di uomini: tutti e tutte ad ascoltare la starr del firmamento televisivo Massimo Recalcati ,psicoanalista lacaniano che sforna, misteriosamente, libri a ritmi impressionanti nonostante gli impegni su tutto il territorio nazionale, a parte il setting analitico.
Oggetto dell’incontro l’ultimo edito da Feltrinelli con il titolo “Le mani della Madre.Desiderio, Fantasmi Ed Eredità del Materno”. La presentatrice dell’illustre ospite , dopo aver elencato i numerosi titoli, abbozza una domanda, tanto per avviare il dialogo. Sarà la prima e l’ultima.
Recalcati parte e non si ferma che alla fine del tempo massimo . La comunicazione è svelta, le parole gli scivolano via tra il poetico e l’ispirato: è un comunicatore e un seduttore di pubblico.
Il figlio, il figlio e ancora il figlio e la Madre, perché egli nasce nel suo pensiero: nella psiche labirintica tipica delle donne.
La Madre? E’ il nome dell’altro che sostiene con le mani la vita che cade nel vuoto. Amen.
La Madre è colei che risponde al grido.
La lezione della Madre? Ogni figlio è unico. L’eredità del Padre? Trasmettere la Legge, il senso della Legge, del limite. Alla Madre il compito di trasmettere il sentimento della vita…avendo desiderato quella vita.
Dunque, una differenza tra Padre e Madre iscritta come essenza , come ontologia. Ruoli di genere precisi, eterni ,indiscutibili pena la malattia psichica. Di fronte all’impossibilità di fare carriera, la donna può vivere il figlio come male. E giù a valanga sulla descrizione della gioia della madre nel partorire il Figlio. E i parti, tanti soprattutto in Italia con il cesareo? Le nuove patologie della Madre? Giovani narcisiste che vivono come ostacolo la maternità; come ingombro della femminilità.
Chiara Saraceno, sociologa di lungo corso, si è arrabbiata quando ha letto su La Repubblica (28 febbraio) un articolo di M.Recalcati sulla figura della madre. Qualche giorno dopo ha scritto un articolo di commento sullo stesso quotidiano (3 marzo).
Sì, perché anche alla presentazione nella città del Nord, metà novembre, Recalcati ha calcato con la sua voce flautata, sulla Madre cattiva, la coccodrillo, la Madre affetta da narcisismo devastante che comporterà per il Figlio ,minimo, la depressione.
Certo, una Madre non deve identificarsi totalmente con il materno, però…..
Scrive Saraceno che secondo Recalcati “ Se la maternità è vissuta come un ostacolo alla propria vita non è, come si potrebbe ingenuamente pensare, perché tutta l’organizzazione sociale poco sostiene le mamme lavoratrici, in carriera o meno. Neppure perché una definizione della paternità invece incentrata sul desiderio e la necessità di essere altrove, , senza essere vincolati dalle necessità della cura, rende difficile per le madri conciliare più dimensioni, più passioni. “ E ancora: “ ….Recalcati rischia di ridurre al vecchio aut aut (o la maternità o la carriera) il ben più complesso dilemma Wollstonescraft al centro di moltissime riflessioni femministe: come far riconoscere il valore e il diritto a dare e ricevere cura senza perdere il diritto ad essere anche altro (cittadine ,diceva Wollstonecraft). In particolare , sembra pensare che, sia sacrificio o desiderio, l’amore materno, a differenza di quello paterno , deve essere al riparo da altre passioni, desideri, attività. “
Alla fine del lungo monologo, qualche domanda da parte del pubblico.
Una signora osa chiedere allo psicoanalista perché nei suoi libri c’è solo la parola Figlio . Il Padre e il Figlio, la Madre e il Figlio…..
Recalcati risponde che il prossimo libro sarà dedicato alla Madre e la Figlia, rapporto complicatissimo. Sorride, si rilancia nella ripresa di un argomento proposto prima da un altro intervento. Glissa via….
Già, la sua ex collega Luce Irigaray, si è meritata l’espulsione dalla scuola freudiana di Parigi di Lacan, anche per , con il tema della differenza sessuale, aver posto all’ordine del giorno il linguaggio neutro universale. Quell’usare uomo intendendo anche donna, figlio intendendo anche figlia, ecc.
Tolstoj , in Anna Karenina aveva capito qualcosa di più sulle madri e i loro desideri ,inconfesssbili per la società dei padri e delle loro leggi.
Nel XVI capitolo :” E le venne l’idea che era statao detto ingiustamente che una maledizione gravava sulla donna, perché generasse i figli fra i tormenti: ‘ Partorire non è niente, ma essere incinta, ecco quello ch’e tormento’ ella pensò ricordandosi della sua ultima gravidanza e della morte dell’ultimo bambino. E le tornò in mente la conversazione con una giovane là nella locanda. Alla domanda se avesse bambini, la bella sposa aveva risposto allegra: -Ho avuto una bambina, ma Dio mi ha liberata, l’ho sotterrata a quaresima. –N’hai sofferto molto, vero?-chiese Dar’ja Aleksandrovna –E perché soffrire? Il vecchio, anche così, di nipoti ne ha tanti. E’ soltanto una preoccupazione. Non puoi lavorare, né fare altro, non è che un legame. Questa risposta era apparsa ripugnante a Dar’ja Aleksandrovna, malgrado l’aspetto buono della giovane donna; ma ora ella si ricordò involontariamente di quelle parole. In quelle ciniche parole c’era anche una parte di verità. ‘Già, così sempre –pensava Dar’ja Alesaksandrovna, dopo aver dato uno sguardo a tutta la sua vita di quei quindici anni di matrimonio: -gravidanze, nausee, confusione mentale, indifferenza e, soprattutto, la deformità. Kitty , anche Kitty così giovane e carina, è diventata brutta e io, incinta, divento mostruosa, lo so. Il parto, le sofferenze mostruose, quegli ultimi momenti…poi l’allattamento, quelle notti insonni, quei dolori terribili…’”.

Dalla poesia ( e retorica) dell’analista che, da maschio ha ascoltato nel setting le donne, alla straordinaria capacità dello scrittore russo di descrivere più realisticamente la complessità -“labirintica” – psiche femminile .