Non è un’autobiografia “La donna capovolta” di Titti Marrone, ma sicuramente è un libro che nasce dalla sua esperienza viva di relazioni familiari e tra donne, di tematiche vissute e dibattute lungo la sua pratica di femminista. Del femminismo ci sono tutti i motivi: il rapporto uomo-donna, il rapporto madre-figlia/figlio, ma anche tra tre generazioni di donne, la cosiddetta genealogia femminile, riveduti alla luce del presente, dei suoi cambiamenti storici, sociali e culturali: il presente postcomunista.

Un postcomunismo non analizzato sociologicamente ma attraverso il vissuto, i pensieri e i sentimenti soprattutto di Alina…… Non avevo mai riflettuto sul fatto che un Gorbaciov, tanto amato dalla sinistra occidentale, potesse essere tanto odiato dai sovietici/che! Ma a pensarci bene, proprio dopo “la liberazione” e lo smembramento dell’impero dell’Urss, è iniziata per loro povertà e emigrazione. Ma anche Laura è una postcomunista che, passata la parentesi rivoluzionaria, riprende alla grande le abitudini della sua classe di appartenenza.

La narrazione, che scorre in forme e parole limpide e felici, s’incentra, infatti, sulle due, ossia tra Laura, donna borghese anche se illuminata ex rivoluzionaria e Alina, la comunista, la collaboratrice domestica moldava, a cui è stata costretta a rivolgersi per la malattia della madre. Ma soprattutto Alina è una donna costretta, costretta dai capovolgimenti storici del suo paese, dalla indigenza dei suoi più stretti familiari a svolgere fuori dalla sua patria, lei ingegnere, un lavoro e una funzione tra le più subalterne, delicate e difficili come assistere una anziana malata di Alzheimer.

Questo del rapporto con la propria collaboratrice domestica è stato uno dei temi più dibattuti dal femminismo, soprattutto dal primo femminismo, perché infrange in partenza i principi d’eguaglianza, di sorellanza e di solidarietà. Ma anche il femminismo della differenza non è stato immune dal sottolineare la contraddizione insita in questo tipo di rapporto. Una contraddizione resa più acuta dal fatto che la protagonista insegna proprio “la parità di genere”. L’autrice fa, però, da subito i conti con questa diseguaglianza e la stempera già in partenza, perché mette su un piano di eguaglianza le narrazioni delle due donne, che vivono, anche se in ruoli diversi, direi gerarchici, la stessa esperienza. Il lettore e la lettrice vedono scorrere in parallelo, attraverso l’alternarsi dei capitoli, le storie delle due, sullo sfondo “dei loro” mariti figli familiari.

Tutto ruota intorno alla stessa esperienza: la malattia della madre di Laura. Su questa si riflettono le storie passate e presenti, le visioni del mondo e i sentimenti delle due “donne capovolte”, ossia spezzate. Eleonora, donna strozzata dalla sua stessa genealogia femminile, crocifissa, impalata tra due assi “che tengono in scacco” la sua persona strattonandola “a metà tra una figlia irrisolta e una madre perduta”. Alina, una volta al sicuro “sotto il tallone dell’Unione sovietica”, ma ora allo sbando come i Moldavi, ma anche i Rumeni , gli Ucraini, gli Slovacchi etc. etc., tutti i popoli smembrati dallo scioglimento della Unione sovietica e il fallimento del Comunismo.

Sono donne spezzate comunque per motivi diversi, quindi c’è ancora un piano di dissimmetria che l’autrice proprio non sopporta, e che, mano a mano che ci avviciniamo alla fine, con un sapiente colpo di scena, degno di un thriller, viene del tutto azzerato. Le due vivono una esperienza di tradimento che le avvicina e le rende del tutto simili… anche nel modo di reagire che è sintetizzato da una borsa piena di argenteria rubata, due volte rubata, come compensazione di un grave torto, di un grande dolore da entrambe subito. Non dico di più, toglierei il gusto della sorpresa.

 

Titti Marrone, La donna capovolta, Iacobelli editore, Roma, Febbraio 2019