“Tu ch’entri qua poni mente parte a parte e dimmi poi se tante meraviglie sien fatte per inganno o pur per arte”.

Le Ville cinquecentesche furono costruite o per dilettare o per dimostrare la potenza di una famiglia. Il giardino di Bomarzo, nato come Villa delle Meraviglie per volere del principe Corrado Orsini detto Vicino, doveva invece soprattutto sorprendere i suoi ospiti.

Ma nelle intenzioni di Vicino questo giardino voleva essere anche un inno all’amore.

Infatti, questo giardino, fu costruito quando Vicino sposò in seconde nozze la principessa Giulia Farnese.

L’incarico fu affidato a Pirro Ligorio archeologo, architetto, pittore, nato a Napoli nel 1513.

Già giovanissimo Ligorio era affascinato dalla bellezza del mondo classico.

Partì dunque per Roma nel 1534 ed incominciò a decorare i palazzi con mascheroni e strane figure, ed in uno di questi apportò per la prima volta riflessi colorati. Riflessi colorati, che un attento visitatore, dopo più di 500 anni, trova anche a Bomarzo, sulle sculture e sui vasi ornamentali del giardino.

Alla morte di Michelangelo, Ligorio viene chiamato a San Pietro per ultimare alcuni lavori ed è qui che conosce il Vignola, divenendone amico e pregandolo, in seguito, di lavorare con lui alla realizzazione di Bomarzo. Nel giardino di Bomarzo, Ligorio espresse con tale forza la bizzarria della sua personalità da creare uno dei più strani giardini del mondo.

“Voi che pel mondo gite errando vaghi di veder meraviglie alte et stupende venite qua dove son facce orrende, elefanti, leoni, orsi, orchi et draghi”.

A quale di queste due divinità schierate nel giardino una di fronte all’altra offrire il primato della malvagità? Alla dea di sinistra, con la coda già divaricata, o alla dea di destra che fa così vanitosamente sfoggio di artigli e di ali?

Le due se ne stanno sicuramente in attesa di preda… tra orsi, tartarughe giganti, enormi ranocchi, colossi di Rodi…

Però in questo Bosco c’è anche una ninfa dormiente e c’è anche Proserpina, chiamata anche Kore, divinità infernale. Ade, il dio degli Abissi, la rapì e la condusse nel suo regno. Demetra, sua madre, dea della terra, dopo averla a lungo cercata andò a riprenderla. Ma Proserpina aveva mangiato dei chicchi del melograno e dovette, così, restare relegata una parte dell’anno negli Inferi. Infatti, chi prendeva qualcosa dal regno dei morti, vi restava legato per sempre. L’altra parte dell’anno poté trascorrerla con sua madre e ciò diede luogo al succedersi delle stagioni.

È la dea della vegetazione. In Grecia le furono dedicati molti luoghi di culto. Il suo essere in bilico tra due mondi, quello della vita e quello della morte, ha ispirato molti pittori: Rubens, Tiepolo, Rembrandt, Bernini e musicisti. Stravinsky ha scritto un melodramma e ancor prima il tema del ratto di Proserpina da parte del dio infernale fu rielaborato da Monteverdi e da Paisiello.

Sottili incantesimi sono sospesi nell’atmosfera perché dalle bocche dei Giganti, degli Orchi e delle Sfingi fuoriescono arie d’amore. Infatti, alla morte della adorata consorte, Vicino fece costruire un Tempio per onorarne la memoria ed essendo in quel tempo Ligorio lontano da Bomarzo, ne affidò costruzione al Vignola. Chiamò poi il suo giardino Sacro Bosco quasi per confermare che quel luogo era nato da un amore più divino che umano.

Con la morte di Vicino, dopo vari passaggi, tutte le proprietà arrivarono ad un principe Borghese. Ai nuovi proprietari il giardino venne a noia al punto che piano piano ne decretarono la decadenza e verso il 1940 fu venduto ad un signore dal nome curioso come il suo acquisto: Maurizio Maraviglia.

Gli eventi della seconda guerra mondiale portarono il giardino alla semidistruzione, tanto che nessun cittadino di Bomarzo ebbe il coraggio di acquistarlo sia pure per una somma insignificante.

Finché lo riscoprì, ne1954, una donna, una casalinga. Per caso. Si trovava nel bosco quando vide apparire qualcosa sotto il fogliame. Di chi è questo terreno? Vale la pena di comprarlo – si disse – perspicace. E lo acquistò con i propri risparmi.

Cominciarono le ricerche e il restauro. Effettivamente lì sotto c’era un’intera schiera di mostri pronti ad esibirsi.

Le statue di Bomarzo affiorarono lentamente, una dopo l’altra, sepolte come erano da uno spesso manto di terra e di vegetazione.

Inizialmente gli abitanti di Bomarzo restarono indifferenti, ma non così artisti come Dalì, Breton e Duchamp che ne favorirono la notorietà tanto da rendere il giardino meta di un pellegrinaggio quasi obbligato da parte degli intellettuali di mezzo mondo.

La gentile signora che per prima, dopo centinaia di anni, ha reso possibile a tanti visitatori di ogni nazionalità il “contatto” con i mostri, si chiamava Tina Severa Bettini.

Chissà se i mostri le sono riconoscentid’averli riportati alla luce, se sono felici di essere toccati, fotografati, grattati o se preferivano restare quieti, riparati sotto i rovi?

Certo timidi non sembrano e con le fauci ben aperte, tutto sommato, sembrano divertirsi loro più di noi!