“Di Maria non sappiamo quasi nulla”, è questa la prima frase del nuovo libro di Luce Irigaray, incentrato sulla figura e sul significato di Maria, la madre di Gesù nella tradizione cristiana. Irigaray è convinta che questo significato, intimamente connesso a quello dell’incarnazione, sia sostanzialmente ancora oscuro. Maria è un mistero, non tanto per i fedeli, quelli che lei chiama “l’umile popolo in cerca di aiuto”, ma per i teologi e per tutti noi. La dotta teologia occidentale, in gran parte maschile e influenzata dalla metafisica, “si è elaborata a scapito della nostra incarnazione.”
_ Certo, la teologia si è occupata di Maria, ma del suo ruolo materno più che della sua identità femminile, mentre è proprio qui che risiede, secondo Irigaray, il mistero.

Ma perché Luce Irigaray, mi sono chiesta, decide di parlarci di Maria? E perché lo fa con un libro pubblicato dalla principale casa editrice cattolica? _ A proposito di questo, è forse da notare che il suo libro è l’ultimo di una collana che, nel titolo (Il pozzo di Sicàr), ricorda l’incontro tra Gesù e la donna samaritana, simbolo, pare, dell’incontro e della della necessità dell’amore e della relazione, temi sempre più presenti nella riflessione della filosofa e psicoanalista negli ultimi anni.
_ Che tappa è, quest’ultima, nel percorso di Luce Irigaray e nel suo impegno per la liberazione delle donne?

Riassumendo per brevità un percorso di più di trenta anni di lavoro e citando solo alcuni dei suoi libri: prima, la posizione filosofica della differenza sessuale ({Speculum}, {Sessi e genealogie}, {Etica della differenza sessuale}), poi l’impegno “politico” ({Io, tu, noi}, {Amo a te}, {Essere due}, {La democrazia comincia a due}, e anche il lavoro con i bambini e le bambine sul linguaggio), poi lo spazio sempre più ampio dato al mondo, alle differenze culturali, leggibili solo se attraversate, come tutte le differenze possibili, dalla differenza sessuale e la scoperta dello yoga e, con le culture orientali, della fondamentale importanza del respiro e della relazione con il mondo naturale ({Oltre i propri confini}, {La via dell’amore}, fino a {Condividere il mondo}).

Ne {{ {Il Mistero di Maria} }}, infine, una specie di approdo con la figura della saggezza: “Una cultura della saggezza esige un lavoro interiore, un fare ma anche un lasciar farsi ed essere che accoglie, pur trasformandolo, ciò che avviene in sé. Un atteggiamento di cui le donne sono più capaci, almeno quando rimangono fedeli a loro stesse.”

Dalla sapienza (filosofia è amore della sapienza) alla saggezza, dunque. La saggezza è la virtù che, rifiutando ogni artificiale separazione che regola la nostra cultura – tra corpo e anima, carne e spirito, natura e cultura, umano e divino – è il cardine del percorso verso ciò che Irigaray definisce come “il compimento dell’umanità”.

Maria è la saggezza, contrapposta a Eva e vicina piuttosto a Parvati, la dea della religione indiana che, come aria e respiro, riesce a trasformare in luce il fuoco, altrimenti distruttore, di Shiva.

Questi sono solo alcuni spunti offerti dal libro su Maria che ha l’intento dichiarato di svincolare Maria da una tradizione mortificante nei confronti del femminile, una cultura che, continuando a mettere l’accento sulla natura “feconda e nutrice” della donna, non consente che questa preservi “la propria verginità spirituale per una generazione, naturale o divina”.

Al momento dell’Annunciazione, Maria è vergine, ma non nel senso carnale. E’ vergine perché è ancora in comunione con se stessa e con l’universo mediante il proprio respiro.
_ E “Dio non lascia la parola, la sua parola, dentro Maria affinché essa vi germogli come in una terra feconda, quasi a sua insaputa e indipendentemente dalla sua volontà. Dio scambia parole con Maria attraverso il suo messaggero, chiedendole se accetta che venga a vivere con lei, in lei.”

Letto da Irigaray, {{il racconto dell’Annunciazione}} ha importanti significati: il primo è che, da quel momento, “l’uomo ormai sarà generato anche dalla parola”; il secondo è che Maria non sarà più l’immagine della passività, dell’arrendersi alla volontà dell’altro come “la schiava e la garante del regno patriarcale” ma avrà lei stessa una relazione con il divino, una relazione non mediata dall’uomo.

Non è, però, riducibile al rapporto tra la donna e il divino il discorso che, anche in questo testo, Luce Irigaray dedica alla {{trascendenza}}, un discorso complesso e che, forse, avrà ancora nuovi sviluppi. Ciò che è certo è che, quando la filosofa parla di trascendenza, il corpo e l’incarnazione, il respiro e la natura, la differenza dei sessi e il toccare sono di nuovo tutti implicati dalla capacità della presenza femminile “di ospitare in se stessa e di portare fino alla luce il non ancora accaduto, sia al livello umano che al livello divino”.

_ Luce Irigaray, {{ {Il Mistero di Maria} }}, Edizioni Paoline, 2010