Riflessione su  G.Romagnoli, Coraggio!, Feltrinelli ed. , Milano, prima edizione in Varia ,ottobre 2016

Questo pensiero ti sia presente : mi sveglio per compiere l’opera dell’uomo.

Se Marco Aurelio nei suoi Pensieri invitava a trovare il coraggio di vivere nel tempo del quotidiano, Gabriele Romagnoli esorta ad un’assunzione di responsabilità che impegna al futuro.

Il coraggio è un atto che ha potere, supera la prova dei fatti, si mostra, è la  testimonianza di uomini che non si fermano, non si adeguano, e sono nostri simili.

Riflessione profonda, anche impopolare, che si traduce  in ogni minimo dettaglio con  umile sicurezza. Essenziali  anche le parole che anticipano la prefazione : i ragazzi come Pierino non hanno paura del lupo. Favola che si conclude con una marcia trionfale: in testa il gatto, poi Pierino, l’uccellino, il nonno e i cacciatori con il lupo, con l’anitra ancora viva nella pancia !

Esplicito, senza farsi pressante,    l’invito a non temere di andare oltre  , a combattere : esiste un solco tra essere e dover essere, ma è un passo che abbiamo pigramente smesso di compiere.

Abbiamo finito per convincerci che sia consentito, che sia addirittura morale e giusto essere.

Fin dalle prime pagine Romagnoli anticipa una riflessione  fondante la disposizione al coraggio , atto che  assegna alla capacità di ascolto della paura  il ruolo più significativo. Il   Don Abbondio che , magari, potrebbe latitare ancora minimamente  dentro di noi , vaso di coccio fra i tanti, invece, di ferro,   guadagnerebbe  una sorta di  cittadinanza  , concluso quel  suo peregrinare   dentro il sentimento dell’ignavia.

Voler   avere coraggio significa , dunque,  sapere di dover giocare una partita difficile, sentirsi  coinvolti  – profondamente – in una sfida scomoda. Alla luce del sole.

Il coraggio è di volta in volta una carezza d’ordine, un viatico per il futuro, il tuo vero passaporto per la vita.

Per non sprecarla e non barattarla in cambio di niente. Per non cedere ai ricatti, di qualunque genere.

Anche se,  continua l’autore,  la paura ha rispetto al coraggio un miglior ufficio stampa e relazioni esterne e, soprattutto, fattura di più.

Il disporsi al coraggio s’intreccia alla capacità di poter provare indignazione, testimonia della vivibilità nei sentimenti ,  non gabba la pula per il grano .Riavvia   il   motore della speranza , è un profumo ancora in grado di toccarci .

Avrem(m)o  sempre più bisogno  di indignarci ,  e sempre meno  di mal volerci?!?!.

Il giustiziere dell’ultima ora  si accanisce , purtroppo ,  a pareggiare un conto senza fine. In cima alla piramide  della violenza , consumata nel quotidiano ,   sentenzia  quanto  valuta di volta in volta  molto manchevole,  anche troppo mancante. Sono  occasioni ingordamente  ed inopinatamente perse,   privilegi rivendicati come diritti  dovuti,  rimpianti che superano rimorsi , contumelie in sodalizio con  livori per  torti subiti( o tali supposti) . Invece il coraggioso, come riporta Romagnoli ,   mette  a repentaglio qualcosa che costituisce una risorsa senza la quale si subiscono danni o patiscono conseguenze*.

Così lo scrittore bolognese  racconta le vite di coloro che di tempra ne hanno avuta. Abilitato alla narrazione di quanto possiamo definire  coraggio,   ci risparmia però l’ imbalsamazione del gesto eroico.

Nell’intreccio narrativo , che ha  il fascino di un dialogo interiore a più voci, centra bersagli in sequenza , scostandosi ,con stile,  da un’ appropriatezza etica di maniera.

Promuove piuttosto  una  riflessione sul limite,  su quanto  va  oltre ,ben conscio che l’ indignarsi faccia pagare  un prezzo ,altrettanto quanto l’ avere coraggio .

E’   il contatto con una solitudine densa , quella delle scelte, ben più macerante rispetto al vissuto di quando ci  si limita a  prendere (solo?!)decisioni. Il cuor  di coniglio  può farsi  leonino e lo sguardo alla tela ove il ricamo  avanza  può impedire di sfilacciarne l’ordito .

Con la voglia di ascoltar(si) fino all’ultima sillaba serenamente pensosi.

 

*L’autore Gabriele Romagnoli riferisce nel testo questa frase come pronunciata da  Luigi Manconi.