Era la primavera del 2002 quando uscì per Feltrinelli la prima edizione italiana di The Sweetest Dream, il sogno più dolce, di Doris Lessing. Ero allora all’inizio del dottorato in storia delle donne e sembrò a tutte noi che questo libro potesse ben spiegare agli studenti di storia contemporanea i principali nodi della fine del ventesimo secolo. Fu su questo romanzo che tenni la mia prima lezione all’università e mi emoziona particolarmente vederne la ristampa, con una nuova veste grafica, prevista per questo mese.

“Ma forse il destino non è altro che il temperamento di ciascuno di noi, quello che attrae invisibilmente la gente e gli eventi”. Così Lessing racconta i temperamenti e i destini di una intera famiglia, sicuramente particolare, nel corso degli ultimi decenni del secolo scorso, dal secondo dopoguerra fino al crollo del comunismo, il sogno più dolce appunto. Il nucleo di tutte le storie, delle passioni, dei rancori è una casa londinese, che accoglie e fa da sfondo agli equilibri precari di un gruppo di adolescenti che negli anni Sessanta vive sotto lo stesso tetto, senza vincoli di parentela ma accuditi da una “Grande Madre”, Frances. Sono gli anni delle grandi passioni politiche, delle battaglie per i diritti civili, del femminismo. Ognuno di questi temi segna inevitabilmente la vita dei protagonisti del romanzo, le loro scelte professionali, gli stili di vita.

Gli anni ottanta, i valori che incarnano, finiscono per contraddire queste scelte e ne rivelano talvolta la fragilità, denunciano la difficoltà di rimanere coerenti. La disillusione è soprattutto un luogo, l’Africa, “terra di promesse e di eterni sorrisi”, con la quale tutti loro si confrontano e dalla quale cercano con difficoltà di allontanarsi. L’Africa, la sua storia degli ultimi decenni del novecento, rappresenta la misura del Sogno, della sua realizzazione. Tra i due estremi della cucina di una casa borghese e la meravigliosa oppressione del paesaggio africano, le storie di questa particolare famiglia si sviluppano e si concludono, spesso dolorosamente: “…che diritto abbiamo noi di aspettarci qualunque genere di normalità? Considerata la storia della nostra famiglia? Con le guerre e gli sconvolgimenti e i compagni, che assurdità!”.

Nel conflitto tra il pubblico e il privato che quella generazione ha vissuto sembra alla fine prevalere il privato: Il romanzo si chiude nella vecchia casa londinese, trent’anni dopo, intorno al “vecchio tavolo fedele”. La strana famiglia si riaggrega, i suoi componenti sono in parte cambiati, i ruoli invertiti. Tra loro c’è ancora il “compagno Johnny”, che incarna il Sogno, la sua complessità e le sue contraddizioni, il motore delle passioni e degli odi di tutti i protagonisti del romanzo.
Ormai vecchio, con una nuova identità, Johnny – “il povero piccolo Johnny” secondo la sua nipotina – non rinuncia a brindare ai vecchi tempi, “a Lui”, malgrado tutto.

Doris Lessing, IL SOGNO PIU’ DOLCE, Feltrinelli Editore, pp.464