Riceviamo da Rossana Nardacci e volentieri pubblichiamo la presentazione di una community tutta al femminile che dà grande spazio al tema della violenza di genere .

Sono una giornalista ed insegnante che ha dato vita ad un progetto unico, o meglio, una vera e propria community formata da sole donne ma donne per me speciali. Un vero e proprio “arcobaleno a colori” perché della community fanno parte donne vittime di violenza di genere che hanno avuto il coraggio di denunciare, ragazze affette da schizofrenia, da sclerosi multipla, da disturbi alimentari. E non solo. Ci sono anche giovani mamme, neomamme, donne in carriera, giovani universitarie. Siamo un mix di grandi donne accomunate dalla voglia di far sentire la nostra voce attraverso la scrittura!

Ho realizzato un portale web in cui parlo soprattutto di violenza di genere e di molti altri temi che accumunano ahimè molte donne. Molto spesso chi subisce violenza non ne può parlare con nessuno, per vergogna o per paura. Con ModApp ho voluto dar voce a tutte coloro che vogliano perlomeno parlare dell’argomento e fare informazione. Inutile nascondere quella che è una tendenza, storicamente radicata in Italia. Per questo la rubrica che curo sul mio blog, insieme ad altre 60 ragazze, vuole insegnare alle donne a riconoscere i primi segnali e a prendere dei provvedimenti tempestivi.

Sto seguendo un vero e proprio studio analitico sulla violenza di genere. A breve sarà pubblicata la mia tesi di laurea specialistica.

La violenza contro le donne, il femminicidio e la discriminazione di genere pervadono ogni ambito della società contemporanea, senza limiti geografici né culturali.

Ancora oggi, un numero allarmante di donne è bersaglio di violenze fisiche e psicologiche per mano della controparte maschile. Violenze dirette, spesso fatali, a cui si affianca una violenza linguistica, più, nascosta, diffusa in modo implicito a più livelli.

Sfogliando le pagine dei quotidiani nazionali si evince che molte testate di qualità raccontano la violenza contro le donne attraverso una struttura lessicale e discorsiva che giustifica indirettamente il carnefice ed il suo gesto e che colpevolizza la vittima in uno schema che si basa sul concorso di colpe e che stravolge la reale natura del crimine.

È da queste fondamentali considerazioni che prende avvio la mia analisi. Più nello specifico, partendo dal presupposto che “la discriminazione sessista e gli stereotipi di “genere” pervadono la lingua nella sua interezza e sono rinforzati da essa” (Lepschy, 1989:62), mi sono proposta di studiare come il discorso giornalistico racconti i casi di femminicidio per capire se ed in che modo la lingua possa, in questo caso specifico, favorire un immaginario simbolico fortemente discriminatorio.

Il femminicidio, come qualsiasi fenomeno sociale, gode di una sua manifestazione linguistica e discorsiva. Essa è allo stesso tempo socialmente determinata, poiché si basa su strutture culturali e di potere organizzate all’interno di una comunità e socialmente determinante, poiché attraverso la sua pratica, tali strutture si riproducono costantemente o ne vengono generate di nuove.

Le interpretazioni mediatiche di ciò che accade quotidianamente sono fondamentali per la costruzione di un senso comune in un pubblico vasto come quello di un’intera nazione. Per questa ragione l’indagine del discorso mediatico si pone come rilevante strumento di analisi.

La rappresentazione linguistica di un fatto sociale è una componente costitutiva dello stesso. Una sua attenta osservazione è pertanto indispensabile per modificare lo status quo e produrre pratiche di lotta e cambiamento che vi si oppongano.

La scelta dell’argomento nasce dal mio forte senso civico per il quale cerco di aiutare ragazze in difficoltà e mi batterò fino alla morte per aiutarle! Perché essere donne non significa essere “carne da macello” oppure “esseri inferiori”.