Se qualcuno mi avesse detto che al carattere separatista o no di una manifestazione nazionale contro la violenza sulle donne avremmo dedicato più spazio che ai contenuti avrei pensato che volesse denigrarci, mettendo l’accento, come al solito, sul fatto che le donne litigano fra loro e solo in questo caso “fanno notizia”. Invece questo è accaduto e di questo è giusto parlare, perché a questo conflitto se ne intrecciano altri e, soprattutto, noi sappiamo che i conflitti si affrontano e si gestiscono cominciando a nominarli.
{{Firenze ottobre-novembre 2007.}} L’adesione dei gruppi femminili e femministi della città alla manifestazione è stata immediata. Il soggetto collettivo che da subito ha cercato di tradurre l’adesione in partecipazione è {Libere tutte}, la rete che a livello locale corrisponde più o meno a quello che in altre parti d’Italia sono le assemblee di {Usciamo dal silenzio}. La scelta del nome non è casuale: non ci piacque allora e non ci piace adesso il ‘titolo’ dato alla manifestazione del 14 gennaio: purtroppo non ci venne in mente subito quello che, da risposta impertinente, è diventato il nome di un gruppo di giovani femministe: {Maistatezitte}. Durante tutta la fase di preparazione, con le polemiche sulla data (ve le ricordate?), abbiamo vissuto come un problema il fatto che le decisioni prese dall’assemblea di Milano non fossero discutibili.

Ma torniamo all’oggi: dall’adesione alla manifestazione siamo passate alla condivisione dell’appello iniziale e quel testo abbiamo usato per i nostri volantini. E’ solo dopo alcuni giorni che ci sono arrivati messaggi sul carattere separatista della manifestazione, carattere deciso in una assemblea a Roma, alla quale nessuna di quelle fra noi che seguono abitualmente gli appuntamenti nazionali era presente. Diciamo meglio: quella che di solito segue gli appuntamenti nazionali sono io, che, devo confessarlo, ho da molto tempo difficoltà a manifestare su questo tema (ma spiegare questo richiederebbe un altro articolo, molto più lungo). Per questo quindi, in un momento in cui mi era difficile venire, non ho fatto gli sforzi che in altre occasioni avrei fatto per partecipare.

Intanto a Firenze, abbiamo fatto un paio di riunioni senza nemmeno affrontare questo problema: riunioni sui contenuti e sull’organizzazione. Quando è stato affrontato c’è stata la conferma che per la maggior parte delle donne singole o associate una scelta separatista non corrisponde al ‘comune sentire’. Le motivazioni sono tante, difficili da sintetizzare. Ci sono quelle, spesso con una lunga pratica femminista alle spalle, per le quali la presenza degli uomini a una manifestazione è stata a lungo impensabile e l’hanno accettata quando è stata proposta da donne più giovani, che vivevano in modo diverso il conflitto con i loro compagni e non erano disponibili al separatismo. Per molte di noi, questa è infatti la generazione a cui appartengo anch’io, continua a restare impensabile di invitare un uomo, un compagno alle manifestazioni di donne, ma per alcune più giovani questa presenza, a certe condizioni, non costituisce affatto un problema.
_ Uomini ospiti ad una manifestazione di donne per le donne. Senza la pretesa di fare servizio d’ordine, ma non necessariamente solo ai margini. Senza bandiere di partito, ma magari con un cartello che dice “la violenza contro le donne mi riguarda”. L’anno scorso, il 25 novembre, le manifestazioni furono locali: a Firenze gli uomini erano presenti con questa modalità. Molte hanno dato per scontato che quegli stessi uomini potessero esserci oggi.

A mio avviso, c’è stata anche una questione di metodo (e qui torna il ricordo di quasi due anni fa). Nella convocazione della prima Assemblea nazionale, che parlava dell’urgenza di organizzare una manifestazione che “mobiliti a livello nazionale donne, associazioni e rappresentanze sociali”, si parlava appunto di mobilitare ‘rappresentanze sociali’: cioè, mi sembra, addirittura organizzazioni miste. Che cosa sono, altrimenti, le ‘rappresentanze sociali’?
_ Non so quando esattamente è emerso il problema nell’assemblea di Roma. Dalle ricostruzioni sembra che la cosa sia stata data quasi per scontata all’interno del gruppo che aveva avviato il processo. Quando è stata messa in votazione, contro la formula separatista si è espressa solo un’esigua minoranza.
A questo punto, comunque, la preparazione della manifestazione qui a Firenze era già partita. Un sondaggio veloce ha confermato che l’opinione prevalente fra noi, qui, era l’altra.
_ E, nei giorni successivi, ci siamo sentite un po’ periferiche rispetto al ‘luogo delle decisioni’ non sapendo bene come partecipare da qui al processo decisionale che era a Roma, come quello di due anni fa era a Milano. Facendo appello ai ricordi personali, posso dire che il fatto che la manifestazione del 14 gennaio non fosse separatista, io l’ho capito al momento di partire, ma soprattutto durante il corteo. A me non verrebbe mai in mente di ‘portare’ un uomo in una manifestazione di questo tipo, ma so che altre hanno altri percorsi e, se c’è problema, la cosa corretta è parlarne.

L’unica soluzione, a nostro avviso, era ed è una manifestazione in cui coesistono varie modalità, spezzoni di corteo che si muovono nel rispetto reciproco: altrimenti si rischia un danno difficilmente riparabile nelle relazioni fra di noi. Questo abbiamo scritto alle compagne di Roma, mandando al sito un messaggio, che non sappiamo nemmeno se è arrivato. Mi sembra comunque di capire che alla fine la conclusione è stata questa.

Credo che la manifestazione sarà grande e bella. Credo anche che il tema della pratica separatista debba essere messo all’ordine del giorno di un dibattito, non solo nelle assemblee, ma anche sulla Rete, perché se è ovvio che un’assemblea è sovrana, è altrettanto ovvio che un’assemblea, se vuole decidere su una iniziativa nazionale, non può che cercare il massimo confronto e consenso usando tutte le forme di comunicazione.
All’ordine del giorno dovremmo mettere, e non per la prima volta, anche il tema delle forme di coordinamento del movimento delle donne.

Ma c’è un’altra considerazione che recenti incontri di donne mi hanno aiutato a mettere a fuoco e a problematizzare: credo che dovremmo affrontare il problema del rapporto fra generazioni di femministe, tenendo conto di una cosa: c’è in noi (dico nel femminismo occidentale) una componente anti autoritaria più radicata che in tutti gli altri movimenti che hanno nel ’68 parte delle loro radici (la maggior parte dei movimenti rivoluzionari, anche precedenti, sono stati tutti attraversati dall’autoritarismo, fosse culto dei capi, o dei libri sacri).
_ Questa componente anti autoritaria, che per me è un grande valore, è stata, a mio avviso, sia una caratteristica della pratica politica della maggior parte dei gruppi femministi, che una componente teorica che caratterizza il femminismo come pensiero.
Il femminismo contemporaneo, anche quando ha usato il termine ‘autorità’ (e io sono fra quelle che hanno sempre preferito il termine ‘autorevolezza’) ha accettato di aprirsi via via a nuovi soggetti, a nuove generazioni, di mettere in discussione le proprie pratiche, costruendone altre.
_ Chi non l’ha fatto si è consegnata al regno dell’irrilevanza politica.
Quando per la prima volta negli ultimi anni (credo che il punto di partenza possa essere la manifestazione nazionale del 3 giugno 1995), agiscono sulla scena politica più generazioni di donne il conflitto generazionale è aperto, visibile, si intreccia con gli altri livelli di conflitto e, come tutti i conflitti, può essere gestito soltanto nominandolo e facendo del riconoscimento reciproco delle diverse posizioni un punto di forza per stare insieme.

Anna Piccolini – da Firenze