Viviamo da molti anni una situazione in cui prevale un potere antidemocratico che dispone in modo sempre più autoritario delle nostre vite, considerate variabili dipendenti da disegni economico-politici, gestiti anche attraverso l’uso indiscriminato della forza. In simili momenti si tratta di compiere alcuni significativi passi iniziali per “riscrivere le regole della democrazia, aprire le porte, abolire la concentrazione dei privilegi dei rappresentanti, cambiare le istituzioni” (dal Manifesto di ALBA).
Misure che sono intese a rafforzare una politica guidata dai diritti della cittadinanza partecipata, in luogo di quella censitaria che ora prevale (S. Rodotà in MicroMega on line)

L’inizio potrebbe essere -a parere di molti interessati a progettare il “come” di questa cittadinanza- dare corso a una osservanza scrupolosa e a una prassi attuativa della lettera e dello spirito della Costituzione repubblicana, per nulla obsoleta.
Questa buona pratica saprebbe produrre cambiamenti notevoli.

Io vorrei sottolineare l’aspetto di democrazia allargata ed egualitaria che si trova tratteggiata in parecchi articoli del testo costituzionale (ad esempio: 2,3,51 ecc.), rimasti da sempre largamente disattesi per quanto riguarda il sesso femminile, collocato nel lato in ombra della cittadinanza.

La questione riveste importanza non secondaria perché investe in modo diretto l’imperfetto {habeas corpus} delle donne e tutte le conseguenti possibilità di subire violenza dagli uomini in ambito privato e pubblico.
Investe inoltre la questione della democrazia plurale oggi cancellata e sostituita da poteri concentrati ed extra ordinem che deliberano in modo vincolante per tutti/e.
Un esempio recente: il colpo di mano di un oligopolio di chierici (esponenti di un governo pretesamente laico, in realtà mosso da interessi confessionali) che hanno stabilito di impugnare avanti la Grand Chambre la sentenza con cui la Corte di Strasburgo aveva ammessa la diagnosi preimpianto nei casi di procreazione medicalmente assistita, cancellando il divieto della L.40/2004 per manifesta incongruenza.

L’appello, nella motivazione fornita, sarebbe destinato a supportare l’integrità del corpo legislativo italiano contro la manomissione europea.
A parte l’ovvia considerazione che quel corpo legislativo è stato già fratturato da molteplici sentenze dell’autorità giudiziaria italiana, il quesito si sposta sulla coerenza dei nostri governanti, proni all’Europa dei poteri finanziari, ribelli all’Europa dei diritti civili.
La situazione, indecente, è al limite della rottura per questo e molti altri fondati motivi, attentati alla salute collettiva e ai diritti dei lavoratori in primis.

Movimenti della società civile pongono oggi all’ordine del giorno il problema della riappropriazione delle potestà decisionale da parte di cittadini espropriati in favore di pochissimi decisori autocollocatisi in una sfera superiore della cittadinanza.

Si assume la necessità di allargare e rendere efficaci processi collettivi in grado di dare voce e potestà decisionale a quanti teorizzano e praticano politiche di dissenso.
La proposizione allude alla necessità di un conflitto sociale aperto ed efficace.
E’ giusto ma non sufficiente perché non prede in esame la seguente constatazione di realtà: coloro che occupano tutte le posizioni del potere decisionale attraverso pratiche oligarchiche auto conservative, sono espressione di una classe maschile che è giunta alla direzione della cosa pubblica utilizzando la divisione sessuale fra spazio pubblico e spazio privato.

Lo spazio pubblico è stato storicamente appannaggio esclusivo degli uomini, una esclusiva che ha mortificato competenza, intelligenza delle relazioni, differenza, quindi critica dell’esistente, che ha negato il merito e, conseguentemente, ci ha portato tutte/i al peggio attraverso l’utilizzo di pratiche monopolistiche.
La polis a sesso unico ha avuto come esito prevedibile l’occupazione delle istituzioni (non più rappresentative) ad opera di apparati a leader unico, quindi la gestione a uno (o pochi, rigorosamente maschi) delle esistenze di milioni di individui soggetti a decisioni altrui, che vengono assunte senza la loro, ormai superflua, partecipazione.
Il dato del prepotere del sesso maschile e delle sue conseguenze dovrebbe essere menzionato con grande chiarezza nell’analisi e tenuto in debita considerazione nella individuazione degli strumenti per un radicale cambiamento.

Senza chiarezza sul dato che si pone all’origine del male, non è pensabile trovare la medicina risanatrice. E il risanamento non consiste solo nella opportuna modificazione del quadro legislativo, culturale e simbolico, certamente necessaria, esso consiste nell’apprezzamento della pratica politica femminista, che ha rivolto dalla soglia lo sguardo più critico sull’esistente, che si è esercitata e ha prodotto pensiero e azione sui temi più importanti all’ordine del giorno come la qualità del lavoro e lo stile di vita ecologicamente orientato.

Quindi, è necessaria non solo una seria pratica antitrust in tutti i luoghi della decisione politica, economica, culturale, in attuazione dei precetti costituzionali; è necessaria anche la presa in carico della qualità soggettiva e della pratica politica da cui ciascuno/a parla.
Una possibilità per la democrazia: nominare e praticare il conflitto di sesso, radicato nel conflitto sociale.