San Gregorio Armeno: una realtà storica piena di donne
La Fondazione Valerio per la Storia delle Donne (a cui auguriamo lunga vita) pubblica un altro dei suoi preziosi volumi. Un volume che risulta – lo dico per me che non avevo idea della complessa realtà storica di una chiesa napoletana dedicata al santo “illuminatore” che aveva convertito al Cristianesimo l’Armenia – sorprendente. Perché nel dire “Gregorio Armeno” l’immaginario non si figura certo una storia piena di donne. Infatti sono donne – lo sottolinea{{ Adriana Valerio}} – le monache armene basiliane che portarono a Napoli la reliquia del loro santo e costituirono la comunità conventuale che edificò la prima sede della splendida chiesa che visitiamo oggi e che divenne uno dei luoghi in cui le ragazze nobili, colpevoli di {{essere nate femmine e perciò scomode alle loro famiglie}}, venivano consacrate a Dio.
Finché fu possibile, il monastero ebbe regole compatibili con una vita non totalmente segregata e perfino con una certa mondanità; fu {{il Concilio di Trento }} che, come una mazzata, impose i vincoli ferrei dei voti irrevocabilii e della clausura, pena lo scioglimento dei monasteri. Fu inoltre fatto divieto di fare musica e canto, di avere qualunque contatto con il mondo esterno e perfino di occupare lo spazio dell’altare in presenza del celebrante. {{Fulvia Caracciolo}}, che aveva fatto il suo ingresso nel convento di San Gregorio Armeno a due anni di età, da ottima amministratrice del monastero ha lasciato un’inoppugnabile testimonianza dello sconvolgimento prodotto nel mondo religioso femminile dall’imposizione repentina “entro tre giorni” di quello che le suore contemporanee definirono{{ l’ “incarceramento volontario”.}} Queste donne non consenzienti furono indotte a subire un atto di assoluta violenza, data l’impossibilità di trovare alternative sociali adeguate. La ribellione impossibile fu in qualche modo compensata dalla pratica intelligente di attuare innovazioni interne delle strutture che, modificate per rispettare le normative tridentine, furono rinnovate secondo grandiosi progetti architettonici e mediante committenze ai migliori artisti del tempo.
Anche {{Enrichetta}}, discendente della stessa{{ famiglia Caracciolo,}} nella prima metà del XIX secolo, fu monacata in San Gregorio per volontà della matrigna. Non era remissiva e non si conformò mai alla disciplina del monastero: riuscì ad ottenere permessi per motivi di salute ed entrò in contatto con i circoli massonici e liberali. All’arrivo di Garibaldi abbandonò letteralmente il velo in Duomo per partecipare al Risorgimento dando poi testimonianza di sé con il romanzo {I misteri del chiostro napoletano}. Anche lei, divenuta famosa, fu una delle donne che, a loro modo, fecero grande San Gregorio Armeno.
Ma furono {{molte di più quelle ignorate dalla storia}}, che costruirono di fatto la grandezza artistica del luogo, nella progettazione delle architetture, nella committenza degli affreschi e della quadreria, nella creazione di{{ un inestimabile fondo musicale}}. Infatti – come raccontano {{Annamaria Bonsante e Adriana Valerio }} – al divieto del Papa Pio V che escludeva qualunque musica profana, le monache contrapposero, ordinandoli e trascrivendoli manualmente, i “canti di edificazione”, non senza qualche trasgressione, come testimonia “la mia cara pupazzetta” di Paisiello.
Motivazioni diverse indussero alcuni monasteri ad unificarsi: in San Gregorio Armeno confluì la comunità, anch’essa originariamente basiliana, di Santa Patrizia, le cui reliquie furono portate nella nuova sede nel 1864. La Santa, discendente dalla famiglia imperiale di Costantino, scelse la vita consacrata, si recò in Terrasanta, fece naufragio non lontano dalla città di Napoli, dove morì dopo essersi dedicata, insieme con la sua comunità, ad opere di assistenza ai poveri. Nessuno dei cattolici italiani, forse nemmeno dei partenopei, sa che è memorabile come concorrente di San Gennaro: anche il suo sangue è soggetto a liquefazione ed è stato e resta ancora oggetto di venerazione.
In realtà il femminile è di casa, in quest’area, da più lunga data. {{Giovanna Greco}} ha rilevato la continuità e la discontinuità dei culti che richiamano {{la costante presenza delle donne in questi luoghi. }} La letteratura archeologica è suggestiva e racconta di un tempio di Cerere nei pressi di San Gregorio, di un collegio di dendrophori legati al culto demetriaco, di una {{Cominia Plutogenia sacerdotessa }} incisa in un’iscrizione locale. Le evidenze non provano molto su una reale continuità a partire dal paganesimo; tuttavia, la città nuova, la{ nea polis} che oggi è Napoli, non si chiamava prima {{Parthenope}}?
{San Gregorio Armeno. Storia, architettura, arte e tradizioni} a cura di {{Nicola Spinosa, Aldo Pinto e Adriana Valerio}}. Fondazione Valerio per la Storia delle Donne.
_ Fridericiana Editrice Universitaria, Napoli, 2013
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