Spente, accese, intermittenti o in stand bay, sono le definizioni che Labodif, l’istituto di ricerca della regista Gianna Mazzini e dell’economista Giovanna Galletti, ha dato alle donne per trovare una misura alla qualità e alla quantità del loro desiderio.Gianna e Giovanna le hanno verificate in Puglia per conto della Regione e prima ancora in una identica ricerca nazionale che hanno voluto per dare gambe ai loro ragionamenti.
_ La proposta pugliese era capire cosa vogliono le donne, ma l’hanno trasformata in un lavoro su come si sentono le donne, ritenendolo preliminare a qualsiasi altra ricerca (se ancora ne rimasse il bisogno) che tenti di capire cosa possono volere o chi vuole per loro…

Come per il Sottosopra {{ {Immagina che il lavoro} }}, della Libreria delle donne di Milano, che cerca di pensare un mondo del lavoro più a misura di donna per donne e uomini, finalmente c’è chi prova come donna a mettere in pratica nel concreto della ricerca di mercato la realtà della differenza di sesso.

Partendo da un’idea semplice, perfino banale, del mondo: pensarlo come effettivamente è, formato da due sessi differenti e con desideri tra loro diversi, perché i due sessi non vivono e sentono la vita allo stesso modo… Se non si è accecati/e da un antifemminismo d’antan e si è accettata l’idea della differenza di sesso come lente vera per leggere la realtà del mondo, si riesce a rifiutare il fatto (era ora) di abbandonarsi all’obbligo, ormai evidentemente troppo semplificante anche per il mercato, del neutro dell’ideologia patriarcale.

Cade nella realtà un muro che sembrava invalicabile in un ambito come quello economico, in cui era forse naturale la caduta dato il suo continuo bisogno evolutivo, ma che fino ad oggi non era stato molto contaminato dal concetto. Il mercato neutro (per la destra e la sinistra) vuole molto sbrigativamente le donne consumatrici passive, al traino del consumo maschile o al massimo stimolo, anche se ormai sfinente e sfinito, per invogliare gli uomini e non invece come portatrici di interessi e desideri non omologabili a loro.

Al modello economico maschile, bastava fino ad oggi, appoggiarsi su interpretazioni volutamente irreali e un po’ottuse, non avendo risorse culturali per vedere altro nella realtà che comunque c’è.
_ Ci volevano un’economista e una regista donne dai passati lavorativi brillanti, ma che hanno incontrato la differenza (a fronte di tante altre, penso per tutte a Emma Marcegaglia, che hanno assunto il modello pari pari), per capire che si poteva e si doveva pensare al mercato interpretandolo a partire dal sesso, per dare una forma più vera e visibile alla realtà e ai suoi numeri.
_ Vi hanno introdotto, finalmente, un principio di verità che potrebbe modificare nel profondo un fare e prima ancora un pensare, facendo nascere l’altro anche nella politica economica.

E come istituto di ricerca, Giovanna e Gianna non potevano che chiedere direttamente alle donne, come si collocano tra le quattro categorie che loro stesse avevano formulato per misurare l’intensità del desiderio femminile: spente, accese, intermittenti o in stand bay.
_ Finalmente non siamo interpretate, ma siamo noi a decidere quale è il livello di consapevolezza dei nostri desideri.

Certo quel 48% che si definisce spento, fa riflettere parecchio e appare perfino inquietante, anche se non è detto che chi si colloca in una categoria debba rimanerci vita natural durante.
_ Ma certo la dice lunga sulla quantità di lavoro che come donne dobbiamo fare per acquisire coscienza di noi stesse e quanto ancora si eserciti un forte potere su di noi.
_ Tra l’altro è un dato che pare trasversale ai ceti sociali e ai territori e va dalle casalinghe alle laureate.

Non mi pare proprio un problema di pari opportunità (un comodo luogo inventato dalle donne dei partiti per non confliggere con gli uomini che li compongono e mantenere immobili le cose, come la recente associazione Dinuovo fa sembrare il tema della differenza di sesso quando chiede più energiche pari opportunità.
_ A dimostrazione lo scambio in atto nella Regione Emilia Romagna sulla responsabile incompetente dell’Udc senza neanche avere un regolamento) il nuovo quadro definito della capacità di desiderio delle donne, fa pensare piuttosto a una profonda mancanza di identità al femminile che davvero può spiegare molte cose.
_ Perfino forse questo delegarsi di moda, oggi e ieri, al corpo giovane che trova tanto spazio in Parlamento e in Tv, dove in fondo basta obbedire al potente di turno e che fa dire a troppe/i che le donne del femminismo tacciono o stanno sbagliando analisi…(Urbinati, Usciamo dal silenzio, Ravera, Tamaro, Veronesi per citarne alcune/i).

Certo se togliamo le donne in stand bay forse non siamo in moltissime a sentirci accese o perfino intermittenti, ma probabilmente questo numero, se consideriamo il potere che come donne non “imitative” del maschile (Galimberti), abbiamo in Italia nei partiti, nell’economia, nelle imprese, bhè credo che possiamo davvero convincerci di aver camminato molto, anche se molto ci resta da fare. Ma la direzione ora ce la dà con più sicurezza la scientificità di questa ricerca che finalmente ci toglie da personali e a volte strabici imbarazzi interpretativi.

Racconta bene la storia del desiderio il documentario molto femminile, per come è stato confezionato, “{Ho un sorriso attaccato al ginocchio}” che Gianna Mazzini ha girato per rappresentare la ricerca. Lei afferma che se non c’è un’immagine che blocca nello sguardo la realtà, è come se la realtà stessa non fosse esista e si dovesse cominciare da capo a ri-viverla non essendo stata documentata.

Ho visto “{…il sorriso attaccato al ginocchio}”, presentato insieme alla bravissima Lunetta Savino, in agosto a Senigallia, durante una serata in piazza del festival itinerante Non a voce sola sulla differenza (anche questo è raro), curato da Oriana Salvucci per conto della Regione Marche. _ Di Labodif e delle sue ricerche comunque ne ha parlato anche Via Dogana ed erano state presentate ovviamente in Puglia.

Certo, quella di Senigallia è stata una serata curiosa, fuori dagli schemi per conduzione e linguaggio. Una novità assoluta, almeno per me, vedere una piazza piena di uomini e donne ascoltare fino alla fine un’economista, che misura ogni parola come fossero numeri a cui dare una versione femminile, una regista che capovolge continuamente le ottiche allo stesso scopo e un’attrice che legge cose particolari sulle e delle donne…

Alla fine, la loro è una bella indagine sul potere e la potenza del desiderio femminile. Quel desiderio tanto amato dalle femministe per affermare che se le donne vogliono, possono attuare ogni cambiamento. Ora abbiamo la misura del fatto e di quello che dobbiamo ancora fare.
_ E’ un buon punto di arrivo e di partenza per noi donne. Soprattutto per quelle che non hanno nessuna intenzione di rimanere attaccate ad un’idea di sopraffazione (che sappiamo c’è, ma non vogliamo sia il tratto con cui definirci) a cui ribellarsi, che non fa altro che appiattirci sul vittimismo, darci un’impressione permanente di secondarietà senza permetterci di volare.

E se riusciamo a volare come donne probabilmente voleranno meglio anche gli uomini, se per caso hanno già cominciato volare…
_ Ma anche qui, forse, servirebbe una ricerca…

* foto tratta dal sito: undesiderio in comune