Lo stupro è un crimine, un oltraggio alla persona, un arma da guerra.
Bene hanno fatto in Italia a indignarsi e a lanciare la campagna di boicottaggio contro la pubblicità della Relish. La moda non può prestarsi a un’idea così malsana di seduzione. Diffonde un sottotesto di un’ambiguità inquietante. La bellezza, si sarebbe indotti a leggere, resa seducente da un abbigliamento intimo da frugare o non intimo da far girare la testa ma soprattutto qualcos’altro, attrezzerebbe le donne a esercitare un sex appeal così forte da provocare negli uomini un desiderio incontenibile e incontrollabile.

Quale donna non sognerebbe di possedere un tale potere di seduzione? E’ un sottotesto che solletica la vanità e il narcisismo femminile mentre conferma gli stereotipi connessi al culto della virilità.{{ Inganna il femminile con la promessa di un potere sedutivo illusorio}} mentre {{impone al maschile un modello imperativo e prescrittivo di virilità basato sull’occultamento di una incapacità relazionale e affettiva}}, impoverisce le risorse immaginative che moltiplicano le capacità espressive della sessualità umana,e licenzia un concetto implicitamente giustificatorio di quello che è un atto criminoso.

{{Lo stupro non ha nulla a che vedere né con il potere seduttivo della bellezza femminile né con la supposta componente aggressiva della sessualità maschile}}.

{{Lo stupro è un atto di violenza}}; è un atto consapevole di intimidazione realizzato per ridurre alla soggezione e al silenzio mediante la paura; è l’affermazione intenzionale di potere e privilegio per esercitare dominio sopra qualcuno; {{è un atto volontario di degradazione di un altro essere umano cui si nega la dimensione umana}}.

La settimana scorsa, {{le studentesse del ’Drama Society’ di Trinity College Dublin}} hanno messo in scena ‘{I monologhi della Vagina}’ di Eve Enslen.

Si sono avvicendate sul palco del ‘Walton Theatre’ facendo il pieno per tre serate di spettacolo dedicate al V’-Day, -Valentin-Vittoria-Vagina -, la campagna avviata 11 anni fa negli USA per raccogliere fondi da destinare alle organizzazioni umanitarie che operano a sostegno delle vittime di violenza sessuale e si battono per farla cessare.

I monologhi erano inframezzati da brevi comunicati sullo {{stupro utilizzato come arma di guerra nella Repubblica democratica del Congo}}, il paese in centro Africa, dilaniato da conflitti militari dal 1994. Qui ribelli armati, gruppi di soldati ruandesi, truppe governative, alleati Hutu si contendono il controllo di un territorio ricco di giacimenti d’oro, diamanti e, soprattutto coltano, un minerale utilizzato nella fabbricazione di telefoni cellulari e computer portatili. In Congo si troverebbe l’80% dei giacimenti di coltano di tutto il mondo. Le nazioni unite stimano che ogni giorno venga trafugato attraverso le frontiere l’equivalente di circa $1000000 di coltano.

E’ una guerra che rende e rende cifre da capogiro sia nell’ammontare dei profitti che nel numero delle vittime. Tra queste le {{donne stuprate, mutilate, ridotte in fin di vita se non uccise o lasciate morire nelle foreste}}. Quando sopravvivono, si trovano spesso a subire l’ulteriore oltraggio di vedersi ripudiate dai mariti, abbandonate dalle famiglie che pensano di difendersi così dal marchio del disonore. Gli stupratori, invece, che armi alla mano, in gruppo o da soli, {{stuprano le donne per seminare terrore}}, diffondere malattie, svuotare e saccheggiare i villagi, restano invece impuniti.

E’ un’ impunità che, in modo subdolo e meno immediatamente percepibile, vige anche nel civilissimo mondo occidentale. Il {{[Dublin Rape Crisis Centre->http://www.drcc.ie/]}} è una ong che opera una linea telefonica di ascolto, assistenza terapeutica, sostegno medico-legale, servizi di accompagnamento, interventi educativi nelle scuole e presso le guardie, medici, infermieri, e persino giudici.

Nel [rapporto annuale relativo al 2007->http://www.drcc.ie/report/DRCC07.pdf], il DRCC cita i seguenti dati: su 13.582 chiamate, 10.155 riguardavano casi certi. {{L’87% delle chiamate erano di persone di sesso femminile e il 17% di persone di sesso maschile}}.
_ Dei 336 casi in trattamento terapeutico presso il centro, meno della metà, 114 erano stati notificati alle forze dell’ordine, i Gardaí. Per 9 soltanto di questi erano stati istituiti processi conclusisi, tre con assoluzioni e sette con condanne definitive.

{{Nel 46.25% dei casi si tratta di stupri consumati in ambito famigliare}}. Secondo voci autorevoli, l’emendamento al codice penale, la Criminal Law Amendment Act promulgata nel 1990, che introduce il delitto di stupro in ambito maritale, e la legge sulla violenza sessuale in famiglia, la Domestic Violence Act, del 1996 non sono sufficienti ad arginare il fenomeno.

Scrive {{Monica O’Connor}}, operatrice di [Women’s Aid->http://www.womensaid.org.uk/] e responsabile irlandese dell’Osservatorio europeo sulla violenza sessuale in “{Where are we now?}” (A che punto siamo?) – una raccolta di scritti femministi curata da Ursula Barry per la New Island Press e pubblicata nel novembre del 2008, che “la giustizia fallisce nell’intento di garantire protezione alle vittime e infliggere pene adeguate a quelli che violentano in modo sistematico il partner. Ne sono prova irrefutabile le ricerche di studio e i riscontri documentali in mano alla polizia.”

Per la O’Connor, {{la stessa denominazione di violenza domestica}} – domestic violence – è {{fuorviante}} perché non si tratta “di un certo tipo di violenza”, ma del “luogo”, del “contesto nel quale lo stato consente agli uomini di agire con impunità, permettendo loro di compiere crimini violenti contro le donne.”

“{{La violenza – conclude – è un’attività di genere. Rivolta alle donne, è sempre sessualizzata}}”. Possiamo dubitarne?