Come in un teatro di burattini, identico da almeno vent’anni è il canovaccio, uguali i personaggi, le parti recitate, le battute declamate, così stereotipate ormai da essere divenute cliché.
Guardate dal versante dei segni, delle parole, dei simboli, le reazioni italiane a “Piombo fuso” rivelano una sconcertante coazione a ripetere. A tal punto che a commento di ciò che accade oggi si potrebbe usare l’articolo del 1989 di Franco Fortini, ripreso dal manifesto del 18 gennaio scorso. Io stessa, risparmiando la fatica di scrivere questo pezzo, avrei potuto riproporre, tale e quale, un mio articolo pubblicato da questo giornale nel 2003.

Come in un teatro di burattini, identico da almeno vent’anni è il canovaccio, uguali i personaggi, le parti recitate, le battute declamate, così stereotipate ormai da essere divenute cliché. {{Ciò che in questa recita manca o difetta è}} {{la pietas}}{{ verso le vittime, il pianto condiviso per una strage (non chiamiamolo “genocidio”, per favore)}} che ha ucciso oltre 1.300 palestinesi e ne ha feriti oltre 5.000 civili, in gran parte bambini, donne, anziani, che ha distrutto case, moschee, scuole, ospedali, strutture dell’Onu e ridotto Gaza a una spettrale distesa di macerie. La compassione profonda per le vittime -imperativo morale elementare- avrebbe dovuto essere condivisa da tutti, anche se non tutti condividono la valutazione dell’aggressione militare di Tsahal: {{una spedizione punitiva}}, come è stata definita -a mio parere correttamente- preparata con cura da almeno un anno e mezzo. Peccato che quella corretta definizione sia opera di chi mai ha rinnegato l’altrettanto cruenta e illegittima {{“guerra umanitaria”;}} peccato che fra i difensori dei diritti dei palestinesi vi sia chi mai ha fatto pubblica ammenda di un certo voto in parlamento in favore del rifinanziamento di una “missione”, ugualmente punteggiata da stragi di civili.

Ma {{ritorniamo all’assenza di pietas}}. Le dichiarazioni ufficiali israeliane, ripetute piattamente da rappresentanti del governo italiano e da esponenti della diaspora ebraica in Europa, lasciano trapelare la de-umanizzazione dei palestinesi, la loro riduzione a quantité négligeable: le considerazioni sul sovraffollamento della striscia di Gaza e l’inevitabilità delle stragi di civili, l’accusa infame ai palestinesi di farsi scudo dei bambini, la certezza fredda e tranquilla che sia lecito sterminare civili, perfino usando il fosforo bianco, se l’obiettivo è distruggere Hamas, rivelano non solo cinismo, ma anche il rischio di scivolare verso un ordine semantico e ideologico di tipo totalitario.

{{Quanto ai cliché di}} {{questo tragico teatro di burattini}}, uno ben consolidato è {{l’accusa di antisemitismo}}, rivolta a chiunque dissenta pubblicamente da un’aggressione militare feroce, cinica, di puro stampo coloniale. E non fa alcuna impressione che questa invettiva sia gridata anche da chi ha l’antisemitismo nella propria tradizione, mai rinnegata, e/o da chi nelle sue pratiche razziste odierne ne ripropone –consapevolmente o no- i dispositivi più classici: dalla profanazione dei luoghi di culto degli altri all’invocazione che siano “mandati ai forni” (la destra, soprattutto leghista), per non parlare del probabile varo di un testo di legge –detto “sulla sicurezza”- che ripropone una visione e alcune norme da leggi razziali di triste memoria. Ma anche altri nel passato non si sono sottratti a scivolamenti che riproducono strutture classiche dell’antisemitismo: dalla tesi della “radicale inintegrabilità” di certe popolazioni immigrate a quella della responsabilità collettiva dei crimini, imputati a intere comunità rom o immigrate. Ricordate le dichiarazioni di esponenti del centro-sinistra dopo l’omicidio Reggiani e la convocazione urgente del consiglio dei ministri, quasi fosse un consiglio di guerra?

Un’identica coazione a ripetere si ritrova anche nelle file dei sostenitori dei diritti sacrosanti dei palestinesi.{{ Le sbavature semantiche che parlano di “genocidio”, di “soluzione finale”, di “Israele, stato nazista”, l’esibizione nei cortei di svastiche sovrapposte alla stella di David sono tutti “errori” (per essere generosa) comunicativi e politici che indeboliscono la causa palestinese.}} Un errore altrettanto grave è l’indistinzione fra l’analisi politico-sociologica di Hamas e il giudizio politico e morale. E’ vero, non si può liquidare Hamas come un bubbone fondamentalista avulso dalla popolazione e perciò estirpabile con il bisturi della guerra, poiché è un fenomeno complesso che merita un’analisi e una considerazione complesse. Ma, una volta detto giustamente che è con gli avversari che si tratta, dunque anche con Hamas, non si dovrebbe evitare di appiattirsi sulle sue posizioni? In realtà, in alcune frange del movimento filo-palestinese dura a morire è anche la pulsione pavloviana per cui “i nemici dei miei nemici sono miei amici”: ricordate il silenzio di tomba sulle esecuzioni capitali in piazza, tra folle esaltate e festanti, subito dopo l’esordio dell’Autorità nazionale palestinese? La verità è che l’infelice popolo palestinese ha avuto ed ha anche non pochi nemici interni della causa della sua liberazione (anche fra la “componente moderata” dell’Anp, che per alcuni sarebbe l’unico interlocutore possibile); e, all’esterno, ha avuto ed ha troppi amici dei suoi nemici interni.

{{Restituire ai fatti il nome che meritano}}: questo dovrebbe essere uno degli imperativi fondamentali di chiunque abbia a cuore la soluzione del conflitto israelo-palestinese. “Piombo fuso” non è l’operazione Zamo (la feroce operazione di pulizia etnica perpetrata dai nazisti nel 1942 nel territorio polacco). E’ invece una sanguinosa spedizione punitiva di stampo coloniale, compiuta dall’esercito di uno stato travolto dalla fobia dell’assedio degli assediati (è vero che vi è una dialettica perversa fra chi assedia e chi è assediato, come fra vittime e carnefici). Uno stato che, accecato dal mito compensatorio della guerra lampo, persegue come sola soluzione del conflitto quella militare, illudendosi della sua efficacia, e perciò rischia di divenire preda di una rovinosa degenerazione politica, culturale e morale.

Contro le semplificazioni brutali, {{conviene distinguere, argomentare, precisare}}: non è vero che è un lusso che non ci si può permettere di fronte a una tragedia come quella che si è consumata a Gaza, che si consuma nei territori palestinesi. La tendenza ad etnicizzare se non a razzializzare il conflitto, a interpretarlo e a dirlo in termini di essenze religiose immutabili e di scontri di civiltà è essa stessa parte della guerra. E’ proprio di una logica bellicista e razzista bollare come arretrata e fondamentalista l’intera popolazione palestinese, screditare chi ne difende i diritti, vedere un integralista in ogni musulmano che genuflette a pregare. {{E’ proprio di una logica bellicista e razzista}} {{l’uso totalizzante e indifferenziato della categoria di ebrei}} -che non fa distinzione fra stato, governo, cittadini di Israele, ebrei della diaspora- nonché l’indifferenza verso le sofferenze, quantunque ben minori, soprattutto degli strati più vulnerabili della popolazione israeliana.

No, {{la Shoah non è archiviabile}}, come alcuni sostengono. Quel “gigantesco esercizio di ingegneria sociale” ({{Z. Bauman),}} partorito dalla razionalità strumentale europea, è stato l’esito estremo di un modello di razzismo ancor oggi esemplare, fondato principalmente su processi di de-umanizzazione degli altri che ancor oggi, purtroppo, sono all’opera.