Dal blog di Pina Nuzzo riprendiamo l’introduzione agli appuntamenti dedicati all’arte, che “prendono lo spunto da una serie di incontri che – scrive Pina Nuzzo- ho tenuto nel 2003 presso la Casa delle Donne di Pesaro, su richiesta delle donne dell’Udi e nel 2006 presso il Centro Femminista Separatista della Casa internazionale delle donne di Roma”.L’arte è una mia passione da sempre, il mio desiderio di dipingere si è accompagnato, per molto tempo, alla fastidiosa sensazione di avere una ambizione smisurata, soprattutto se commisurata al contesto familiare, sociale e al fatto che sono una donna.

Non è bastata la naturale predisposizione, né un corso all’accademia a fare di me una pittrice. Ho avuto bisogno di un ambito in cui pensarmi, di uno spazio e di un tempo che potessi governare.

La politica delle donne mi ha permesso di avere {{una visione}} – ciò di cui ogni artista ha bisogno – {{attraverso un mondo di donne}}. Quello che l’artista vede, la visione appunto, non nasce dalla sua genialità ma dalla sua partecipazione, dal suo fare parte di una socialità che prevede o addirittura esige che egli si esprima.

La qualità del suo lavoro, il giudizio sulle sue opere è un problema diverso e successivo: l’essenziale è potersi definire ‘artista’. La socialità femminile non ha ancora sentito come una vera e propria necessità quella di avere nel mondo un segno femminile autonomo. E tuttavia le donne sono diventate simbolicamente {{le mie committenti }} perché io ho questa necessità come artista. E non come artista femminista. Sono diventate insomma quel riferimento che di solito, per un artista maschio, è rappresentato dal confronto con altri artisti. Tra donne artiste questo non è ancora possibile, perché prevale la paura di sentirsi sminuite e mentre per un uomo il giudizio di un altro uomo è normale, per una donna il giudizio di un’altra donna non solo è insufficiente ma può addirittura svilirla.

Una artista, quando riesce in un mondo di uomini, si sente unica, più unica di un uomo. Quel continuo rimando che gli artisti hanno messo in atto anche attraverso le diverse generazioni, e che ha prodotto arte, è sconosciuto alle donne che, anche quando emergono, sono fuori da questo scambio. Sono solo uniche e non costituiscono nessun riferimento per il proprio genere: un mondo di prototipi, senza genealogie.

Il mio è stato {{un percorso che dalla comunità è andato verso la singolarità,}} questo è potuto accadere attivando una socialità femminile. Perché però una socialità potesse diventare il contesto adeguato alla definizione di me come soggetto, occorreva che fosse fondata su un’intenzione politica. Così come occorre una intenzione molto forte perché quello stesso soggetto possa, accedendo allo spazio simbolico della rappresentazione, dire di sé: “sono una artista”.

Da molti anni dipingo, espongo. Ne consegue, teoricamente, che potrei smettere la mia attività politica e continuare a dipingere perché dipingere per me è {{una forma di conoscenza e non una professione}}. Rinunciare alla politica vorrebbe dire che non ho più una visione del genere femminile che vada più in là della mia storia personale, e questo sarebbe per me una sconfitta più grande che se facessi un brutto quadro.

Per concludere, {{la spregiudicatezza}} che ho messo in atto in questi anni visitando mostre, guardando cataloghi, esercitandomi nel giudizio a prescindere dalle convenzioni della critica, ha sedimentato {{un pensiero sull’arte}} che temevo fosse solo mio.

Fino a quando non ho cominciato a trovare conferme negli scritti di studiose e critiche, italiane e straniere. Ma le ho trovate anche negli scritti di artiste che con grande tenacia ho rintracciato, scoprendo che queste donne ci hanno lasciato – oltre alle loro opere – testimonianza della solitudine che hanno patito e che è stata occultata come insignificante più ancora delle loro opere.

{La [ prima lezione->http://pinanuzzo.wordpress.com/2012/01/29/primo-appuntamento-arte/#more-77] la potrete trovare sul blog di Pina Nuzzo}