Non mi accontento, lo so. E’ sbagliato, so anche questo. Provo, davvero, ma è difficile, per me.
Per esempio:{{ fanno un governo 50 e 50 }} e io lì subito a dire che non c’è il Ministero per le Pari Opportunità, (che vuol dire, tra l’altro, che non si sa come potranno andare avanti i progetti contro la violenza della maggioranza delle strutture sul territorio). Mi ostino a non festeggiare, e mi risento anche perché la Ministra della difesa viene da un filone di pensiero non certo pacifista. Alcune trenta/quarantenni stigmatizzano sul {{blog di Lorella Zanardo}}, (che gentilmente rilancia la mia riflessione sul nuovo governo), questo mio disappunto: insomma non avevamo detto che la parità di genere era l’obbiettivo? Basta con queste veterofemministe brontolone.

Io, per la verità, sono decenni che dico che non è un obiettivo finale, perché è la qualità che conta, è l’essere portatrici di cambiamento e di visioni femministe, ma insomma, {{siamo sempre lì}}: non mi accontento, lo so, ed è sbagliato.

Mi invitano in un ricco comune del nord ovest, dove una assessora attivissima e gentilissima organizza nella sua città {{un ‘talk’ }} con donne del mondo del lavoro e della società civile, condotto da una collega televisiva, brava e impegnata.

Mi domando perché sia sempre necessario{{ il personaggio tv }} per organizzare un momento di parola e di discussione, e perché bisogna chiamarlo talk. Anche le letture del libri: se non le chiami reading non sei cool.

E’ che non mi accontento, lo so: dopo oltre 20 anni di tempi, modi, linguaggi tv che hanno permeato le nostre vite (e dico davvero, dal modo di vestire, parlare, fare l’amore, organizzare le feste di compleanno, i matrimoni, i funerali, il parto, tutto secondo i dettami della tv) {{come si fa ad avvicinare il pubblico e pretendere di riempire la sala se indici ‘soltanto’ un ‘incontro’ o un ‘dibattito’?}} Ovvio. E’ che non mi accontento.

Eppure dovrei essere contenta che il teatro si riempia, che le donne che salgono sul palco possano dire che sul lavoro ora sì che c’è la parità, (nella loro azienda di famiglia), che la giovane carabiniera possa fieramente dire che ama la sua divisa, che la responsabile di un centro contro la violenza dica che non è certo femminista, e che si discuta tra il serio e il faceto sul multitasking, stabilendo che siccome gli uomini delle caverne avevano da stare focalizzati sulle prede non han potuto sviluppare la visione laterale e globale, mentre le cavernicole invece sì, occupandosi di agricoltura e cuccioli, e per questo imparando così a vedere anche dietro alla nuca.

Insomma, amiamo gli uomini ma non possiamo pretendere da loro che facciamo più di una cosa per volta, è così e basta.

Ci sarebbero dei video da vedere (per esempio quello di {{Eve Ensler,}} {La preghiera di un uomo,} che dura tre minuti, o quello di un minuti che riassume la campagna One billion raising) ma si sa, i tempi tv son tiranni, (anche se non siamo in tv), e la gente potrebbe annoiarsi.

E’ che non mi accontento, lo so.

Al mattino, nella strada del ritorno, sulle dolci colline baciate dall’incipiente primavera conto 25 giovani nigeriane che aspettano i clienti, statisticamente distinti padri di famiglia di ogni età del dolce e ridente nord ovest. Mentre passo in auto una di loro, particolarmente attiva e quasi nuda, fa ampi gesti per segnalarsi, e solo quando vede che al volante c’è una donna smette di sbracciarsi, fa un gesto di scusa, e si prepara per la vettura successiva.

Per un vasto filone di pensiero anche questa è una possibilità, nel vasto mondo libero che andiamo costruendo, no? Mica saremo moraliste.

{{E’ che non riesco, proprio non mi accontento. Ma, ovviamente, sbaglio.}}