Si sono conclusi, alla Casa Internazionale delle Donne, con una assemblea nazionale i lavori del XV Congresso dell’Udi che si erano aperti a Bologna. Provenienti da molte regioni le delegate arrivate a Roma erano 120. In due giorni si doveva chiudere ciò che si era iniziato a Bologna: riformulare lo Statuto, definire gli organi dirigenti ed eleggere chi li rappresenta.

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Il primo intoppo}}, quello che ha poi determinato l’andamento dei lavori, è stata la votazione richiesta dall’Udi di Modena di votare in blocco tutte le proposte di modifica dello Statuto da loro fatte e presentate secondo le regole che il Congresso si era dato. A queste proposte però se ne erano affiancate altre, quelle di Ferrara e Ravenna, di Bologna, di Catania e quella di {{Rosanna Marcodoppido}} di Roma. Quest’ultima mozione, presentata da una persona e non dal gruppo di riferimento, di fatto faceva trasparire alcuni problemi interni all’Udi la Goccia di Roma.

{{La richiesta dell’Udi di Modena non è passata}}. Era difficile pensare che le delegate presenti, molte delle quali potevano condividere quelle proposte, accettassero le modalità richieste per almeno due motivi: le proposte delle altre sarebbero state sottostimate e si sarebbe delegittimato il lavoro del coordinamento che aveva preparato l’assemblea di Roma che doveva chiudere i lavori del [XV Congresso ->https://www.womenews.net/spip3/ecrire/?exec=articles&id_article=9323]iniziati a Bologna. Nella cartellina infatti c’era un prospetto che riportava tutte le proposte di modifica agli articoli del vecchio Statuto.

Per tanto alcune che erano d’accordo con le proposte fatte da Modena hanno scelto perché si votassero {{i singoli articoli}}, confidando poi che un necessario lavoro di omogeneizzazione venisse fatto da chi di competenza. Dando così fiducia a ciò che si andava costruendo. Così facendo sabato sera, 3 dicembre, il nuovo Statuto dell’Udi fu varato a maggioranza. Una maggioranza ineccepibile dal punto di vista formale, ma che, andando a leggere i numeri, nasconde {{un problema che mi sembra giusto evidenziare}}. Ad ogni votazione su 120 aventi diritto alzavano la mano a favore circa una settantina e tra contrarie e astenute un’altra decina. E le altre? Per tutte le votazioni si sono astenute. {{Sono state a guardare!}} Un atteggiamento che a me è sembrato quasi surreale.

Ma {{forse ad essere fuori della realtà sono io}} che ancora credo che la democrazia formale abbia un valore. Mentre ciò avveniva ho pensato alle tante discussioni con mia figlia e con le sue amiche che molte volte non si sono recate alle urne rifiutando quel diritto per il quale le loro nonne si erano battute, erano finite in carcere o erano morte. Volevano acquistare legittimità delegittimando. Ma le loro argomentazioni non erano irragionevoli. Nessun partito era in grado di rappresentarle. Erano tutti espressione di una cultura ginefobica. E per capire come loro vivessero il problema era necessario ascoltarle. Non potevo arroccarmi in certezze che mi garantissero facili identità. E’ sempre stato difficile mettersi in discussione, ma necessario se si vuole crescere. E, per farlo serve un confronto che però non sia simulacro di antiche logiche guerresche: amico-nemico, vita-morte che, se va bene, servono solo a garantire lo status quo.

{{La relazione deve costruire altro,}} un qualcosa d’altro che non c’è e che deve essere di volta in volta inventato e questo tutte noi lo sappiamo bene! Per gli uomini è più facile perché non fanno che ripetere a noia ciò che è stato costruito e ripetuto per centinaia di anni. Per noi, invece, la creatività è d’obbligo!

Molti valori in questi decenni sono andati in crisi e tra questi {{il principio della delega e della rappresentanza}}. Istituti che si sono come disidratati proprio perché è venuta meno la linfa di una partecipazione attiva che, per sopravvivere, si è rinchiusa spesso su se stessa in modo autoreferenziale. Si è come determinata una patologia. Forse la potremmo definire come un autismo politico. {{Sembra sia venuto meno quel legame vitale tra forma e sostanza. }}

Troppo spesso si è puntato tutto sulla sostanza abbandonando quelle regole a volte non scritte ma necessarie per essere setaccio, a passioni, amori, rancori che inquinano sempre un fare capace di costruire ciò di cui tutte noi abbiamo bisogno: partecipazione organizzata, riconoscimento di tutto il lavoro fatto, visibilità per garantirci il confronto con altre situazioni. In questo congresso l’Udi ha ripercorso un po’ la sindrome delle relazioni in famiglia dove {{tutto è possibile anche il femminicidio}}, termine nominato da alcune durante il Congresso. Una sindrome molto pericolosa perché tutte noi sappiamo bene che se non controlliamo la ferocia e la forza di questi legami il risultato ultimo è la fuga nel migliore dei casi, o la morte (politica) nel peggiore.

Auguro a {{Grazia Dell’Oste}} e {{Vittoria Tola}} (nominata anche responsabile legale dell’Udi) e a tutte le donne che fanno parte dei nuovi organi dirigenti assieme alle 120 delegate di portare fuori l’Udi da questo breve tunnel, una galleria poi non tanto buia visto che si scorge sia l’arco d’entrata che quello d’uscita. L’Unione Donne in Italia, negli ultimi anni, con{{ Pina Nuzzo}}, era uscita dall’invisibilità dovuta ad una precedente attività carsica. Sono sicura che, anche con le nuove dirigenti, l’Udi continuerà un cammino politico ricco e articolato capace di farsi riconoscere da un numero sempre maggiore di donne e di uomini