Il massacro Israelo-Palestinese: una definizione ormai rituale, che come tutte le ritualità finisce per nascondere la qualità delle cose. Dicendo privazione di libertà, cibi, medicine, dicendo donne partorienti
bloccate ai checkpoint, bambini cresciuti in una gabbia che credono ormai casa, anche dicendo questo e molto altro si cade nella ritualità: tutti sanno tutto.E che dire degli stati che osservano e si schierano secondo aree di
convenienza, graduando la legittimità degli assassinii con una
nomenclatura insopportabile che nasconde una certezza: gli Stati forti hanno
il “diritto internazionale” di uccidere. Se trovano, e le trovano perché il
vocabolario è di loro proprietà, le parole giuste per dirlo, hanno licenza
di uccidere, lapidare, distruggere, infrangere la stessa legalità che si
sono data.

Non c’è più nulla da dire, e non c’è stato più nulla da dire per
“scandalizzare”, finché il Governo Israeliano ha attaccato i Pacifisti della Flotilla e la stampa, almeno quella italiana, ha presa in carico la cosa, e per la “fortunata” contingenza di poter contare dei morti, che a loro volta nomeclati, ricadranno nella nuova ritualità inventata dai potenti.

Eppure svelare è possibile, anche se il disvelamento di parole come
“femminicidio”, indigeribili, pesanti, non riesce a trovare analogie
altrettanto prorompenti ed efficaci nel disorientare schieramenti e luoghi
comuni in materia bellica.
_ Forse, femminicidio è una parola che non ha
analogie, per essere nel suo significato comprensiva di altre: guerra,
genocidio, distruzione dell’habitat e tutto quello che consegue alla
costruzione di un ordine ingiusto che ha la vitale esigenza di mettere fuori uso un intero genere.

Svelare è possibile, ed è possibile anche senza parole nuove, ribaltando quelle vecchie.

Spiegare nuovamente cosa ha a che fare tutto questo con l’informazione e con la libertà di stampa e principalmente con la conduzione del dibattito politico implica un’ingenuità che sarebbe utile palesare solo per dire che “il re è nudo”, se il re non fosse stato già protagonita di una svestizione autonoma, finalizzata a non doversi più giustificare di nulla e per agire senza alcun controllo democratico.

La libertà di stampa, come la democrazia, nel nostro paese è in via di
costruzione: non è da recuperare, si deve perseguire. La libertà di stampa si realizza, come la democrazia solo attraverso la sua stessa pratica, pratica che per ora ha più prospettive che ricordi.

La Flotilla è stata una delle tante occasioni perse alla libertà
d’informare, anche un’occasione persa per difendere la politica
internazionale dai suoi errori.

La visibilità che difende è stata negata per lunghissimi giorni alla “Rachel Corrie” ed alle altre navi cariche di aiuti umaniatari. Non un’intervista, neanche alla premio Nobel Mairead Macguire, o alla sopravvissuta ai campi di sterminio Hedy Epstein, membri dell’equipaggio.

La linea editoriale scelta dall’informazione “che conta” è stata una cartina di tornasole per la politica e per l’informazione e, colorandosi rosso sangue, ha rivelato che è stato ignorato un evento annunciato sulla rete da giorni, taciuto pur essendo sotto gli occhi di chi, alla ricerca di casi pietosi, notizie indiscrete e/o passi falsi.

Dell’avversario, quella rete consulta compulsiavamente. Fino all’epilogo, che può essere stato quel che è stato anche per il silenzio ha accompagnato un viaggio che forse confidava nella libertà di stampa.

Non ci sono parole chiave o scandalose anomalie linguistiche per dire che le guerre non sono dimenticate, ma nascoste.
_ Non ci sono invenzioni per dire che quella che non ha “visto” la flotta è la stessa informazione che “non vede e non sente” la ribelione delle donne e le stragi che le uccidono fuori e dentro le guerre, perchè tra loro e se stessa mette il re, i suoi amici e alcune donne “in rappresentanza” rispettose del copione.

Nessuna invenzione, solo una constatazione: il re è nudo e se ne frega!