C’è un gruppo di donne a Catania che dall’indomani del 13 febbraio continua a incontrarsi per discutere, interrogarsi, costruire. “Le Voltapagina” hanno deciso di chiamarsi, come la libreria che le ospita ogni sabato pomeriggio. Ne abbiamo parlato con Emma Baeri, femminista storica e storica del Femminismo e oggi componente di questo nuovo gruppo. {{Com’è nato l’appuntamento settimanale de “Le Voltapagina”?}}

Il discorso è nato proprio dall’appello per la manifestazione del 13 febbraio, su cui avevamo tutte opinioni differenti. Io, per esempio, non ne condividevo i contenuti, ma dopo uno scambio di idee con {{Simona Mafai}}, fondatrice e animatrice di “Mezzocielo”, rivista palermitana giunta al suo ventesimo compleanno, ho capito che dissenso teorico e scelta pratica non sempre è saggio far coincidere, soprattutto per la mia generazione politica, spesso pigramente innamorata di bellissime idee. Simona mi ha ricordato che laddove c’è una grande mobilitazione non bisogna essere aristocratiche in cerca di purezza, bisogna piuttosto ascoltare e cercare di capire il desiderio che una piazza affollatissima esprime, e sintonizzarsi con quel desiderio più che criticarne le forme. Così ho deciso di partecipare.
_ Sono ancora dell’idea che quell’appello soffrisse di una visione antropologica delle donne, perché si rivolgeva {{alle madri, alle figlie, alle nonne, quindi alle donne nei loro ruoli naturali e non in quanto cittadine}}. Per me e per molte altre è evidente che, soprattutto dopo il femminismo, l’uguaglianza biologica di noi donne è una parte della nostra differenza, che si intreccia subito con le molte diversità di ciascuna, che sono politiche, economiche, culturali. Sicché ancora oggi penso ( come nel 1996, quando la legge sulla violenza sessuale fu approvata attraverso una alleanza trasversale di donne di destra e di sinistra) che tutte le volte che si evoca una differenza solo biologica, dimenticando le nostre diversità, si fa un passo indietro nell’affermazione di un’idea di cittadinanza differente e diversa, certamente incompiuta, ma pensabile. Inoltre, poichè ho in mente un progetto che deve essere condiviso anche dagli uomini, la sostanziale elusione della “questione maschile” rendeva a mio avviso quell’appello non solo debole, ma anche opaco. Insomma, se è questione di corpi e potere, mi sembra che gli uomini vi stiano saldamente al centro.
_ Mentre queste cose mi frullavano per la testa continuavo a frequentare, con rassicurante periodicità, i godibilissimi pranzi della domenica di {{Marisa Di Stefano}}, dove incontravo alcune altre sue amiche, le componenti golose di questo suo cerchio luminoso, imbandito, saporito. Marisa è stata una compagna del “Coordinamento per l’Autodeterminazione della Donna” di Catania, poi del “Gruppo del venerdì”, avendo alle spalle un prezioso gruzzolo politico accumulato in anni (anni Settanta) di militanza nel Movimento di Liberazione della Donna. Credo che tutto questo suo patrimonio sia riemerso come incontenibile passione progettuale attorno al 13 febbraio: ci ha proposto di rimetterci in gioco e, senza quasi accorgercene, siamo scivolate piacevolmente in questo nuovo gruppo.

{{
Perché la libreria “Voltapagina”?}}
_ L’idea originaria è stata quella di cominciare da noi, le commensali più qualche altra donna interessata. Iniziamo tra noi – ci dicemmo – poi si vedrà. Abbiamo scelto una libreria perché era nostro desiderio abitare subito uno spazio aperto al pubblico, non chiuso come poteva essere la casa di una di noi. E poi, la libreria Voltapagina è un’impresa femminile ormai storica a Catania, che si è inoltre da qualche tempo dotata di torte squisite e di bevande varie: come resistere? Da subito la voce di questo “luogo di piacere” si è sparsa in giro e molte donne si sono avvicinate.

{{
Come si compone il gruppo? }}
_ Siamo tutte diverse, per storia politica e per generazione. Giovani ventenni, vecchie compagne del Coordinamento, quarantenni, donne alla prima esperienza politica, ma tutte con una grande voglia di riprendere una comunicazione libera tra donne, in cui le diversità non siano d’ostacolo, al contrario, diventino ricchezza condivisa: mi sembra che stiano funzionando benissimo. Infatti, chi ha avuto una storia politica più tradizionale, per così dire, sente più forte il bisogno di fare, altre vorrebbero riprendere questioni “teoriche”, altre ancora, le giovani soprattutto, hanno portato nel gruppo l’importanza e l’urgenza di una presenza in rete, un’esigenza che si sta traducendo in un progetto informatico compiuto, visto che tutte ormai sappiamo che visibilità e trasmissibilità vanno oggi risolte anche attraverso questi nuovi linguaggi. I discorsi si sono quindi sviluppati contemporaneamente sia attraverso la una nostra presenza fisica in libreria, sia attraverso il progetto di una presenza virtuale su internet. Ognuna contribuisce nella forma che le è congeniale.

{{Avete costruito un sito?}}
_ L’aspetto informatico è stato come il piede sul pedale dell’acceleratore di questo nostro desiderio di aggregazione. Su questo aspetto il nostro riferimento è Manuela, che ha immesso nel gruppo passione e competenza professionale, proponendosi subito come curatrice della nostra comunicazione interna ed esterna: ha creato una mailing list con la quale ci scambiamo informazioni, testi, documenti e sta lavorando al sito internet.

{{Com’è cambiato il gruppo in questi mesi?}}
_ Si tratta di un gruppo ondivago. A volte siamo 15, altre 20, altre ancora anche meno o anche di più. Alcune vanno, altre restano, altre mancano e poi tornano. C’è un gruppo più stabile, di cui Marisa è il perno, costituito soprattutto da quelle di noi che hanno sperimentato nella propria storia politica che la fedeltà al gruppo paga. Sappiamo che frequentare un gruppo un giorno sì e l’altro no non riesce a creare un legame politico, che è anche un legame emotivo, in qualche modo “quotidiano”, che ci consente di accogliere anche i silenzi, perché sappiamo che la volta successiva potranno sciogliersi; insomma, non interrompere il ritmo degli incontri serve ad arricchire la qualità della comunicazione.

{{Quali sono i temi che discutete? C’è una qualche vicinanza con la pratica dell’autocoscienza del Femminismo degli anni Settanta?}}
_ I temi sono stati tanti: sessualità, corpo delle donne, guerra e pacifismo, diritti e democrazia. Di autocoscienza abbiamo tanto parlato come pratica che ha caratterizzato la storia del movimento femminista, ma non è ciò che facciamo oggi. Non sarebbe pensabile proprio per la natura del gruppo, che essendo ondivago non permette di costruire quella fedeltà e intimità che sono alla base di un’esperienza di autocoscienza, che deve dare garanzia di reciproca riservatezza, e protezione di un “partire da sé” che muova dal profondo. Anche se è da noi tutte condiviso il pensiero che l’autocoscienza sia stata un momento fondamentale nella storia del femminismo, molte non l’hanno mai praticata, per scelta o per caso.

{{Perché “Le Voltapagina”?}}
_ Per dare valore al luogo che ci ospita e per il significato simbolico insito nel gesto di voltare pagina, piuttosto che di voltare le pagine, che ci sembrava avesse una ritualità materiale e meccanica.

{{Cosa avete in cantiere?}}
_ I progetti in corso sono tanti. Quello più maturo è un seminario sulle parole nel lessico politico corrente. Vorremmo indagare le ragioni della loro svalorizzazione, del loro stravolgimento semantico, e rimettere in giro il loro uso civile, quello antico, o uno nuovo, vedremo. Il seminario si terrà presso la Facoltà di Scienze Politiche nel mese di maggio.

{{A condurvi ogni sabato pomeriggio presso la libreria per il vostro stare insieme è più un desiderio di benessere individuale, un appagamento del singolo bisogno di scambio tra donne o più un senso di responsabilità civile, una necessità di dare un contributo per cambiare lo stato attuale delle cose nella nostra società? }}
_ Sono l’uno e l’altro. E’ un gruppo che, come negli anni Ottanta il Coordinamento per l’Autodeterminazione della Donna, cammina sul crinale dentro-fuori, muovendosi su dei punti di condivisione imprescindibili: partire da sé, dare per scontata un po’ l’autocoscienza, tematizzare molto sul corpo, sulla sessualità, sui diritti e sulla democrazia. Il mondo esterno entra continuamente nelle dinamiche del gruppo, ma quello che stiamo cercando di fare per il momento è soprattutto valorizzare le cose che possiamo condividere e lasciare momentaneamente di lato quelle che ci separano.
_ Il giorno della nostra prima riunione chiesi a ciascuna di dire perché si trovasse lì, quale desiderio l’aveva spinta a venire. Sono venuti fuori desideri tutti diversi: quello delle giovani era figlio di una rabbia inespressa che cercava i modi per esprimersi, quindi la necessità di un luogo dove poterla tirare fuori, per altre il desiderio di fare tra donne cose utili e belle, che rompessero la cappa del senso comune, per altre ancora il bisogno di comunicare; per me è stato il desiderio di ritrovare uno spazio politico separatista in cui la diversità tra di noi fosse quasi garanzia di una mia nuova libertà. Sentivo che un gruppo di donne così vario esprimeva autonomia e responsabilità, fantasia e pragmatismo, modi di essere e di stare insieme di cui ero parte, utile ma non indispensabile. Il 26 marzo, per esempio, era un sabato pomeriggio: io ho lasciato il gruppo in anticipo per andare alla manifestazione pacifista contro la guerra in Libia organizzata in via Etnea, mentre altre non hanno sentito di dover partecipare. Questo momento è stato per me di un’importanza straordinaria. Ho pensato: “Che bello, anche se io non ci sono il gruppo continua a discutere e a fare”. E mi sono sentita una ragazza libera.
_ Altro momento significativo è stato per noi{{ l’8 marzo}}. Abbiamo scelto di incontrarci alla Facoltà di Scienze Politiche, in un’aula grandissima con gli stucchi dorati al soffitto che {{Graziella Priulla }} e {{Rita Palidda}}, due di noi che insegnano lì, avevano prenotato. Eravamo nate da poco, non avevamo pubblicizzato l’evento, ma ci sembrava comunque importante vederci tra noi in un luogo diverso, proprio l’8 marzo: volevamo sottolineare il nostro passaggio da un luogo aperto al pubblico come la libreria, a un luogo istituzionale come l’Università, un passaggio che aveva per noi il valore simbolico di “entrare in società”. E grazie a una “voltapagina” amica giornalista il giorno dopo la stampa locale ha dato notizia del “lieto evento”. Ecco, la manifestazione dell’8 marzo è stata per noi una riunione di lavoro, tranquilla, appassionata, e piena di significati nuovi.
_ Il gruppo è aperto a tutte le donne, il sabato pomeriggio, alla Libreria Voltapagina. Se poi diventeremo troppe, vedremo cosa fare…