Un pomeriggio per discutere del ruolo preminente svolto dalle donne nella rivendicazione di cambiamento sociale e civile delle rivoluzioni popolari del mondo arabo, delle aspettitive che le hanno portate in piazza e dei possibili sviluppi per il miglioramento della loro condizione e lo scardinamento di pregiudizi e stereotipi di cui sono vittime. L’incontro organizzato il 16 marzo dalla [Copeam->http://www.copeam.org/] (Conferenza Permanente dell’Audiovisivo Mediterraneo) e dal Gio ([Gender Interuniversity Observatory->http://www.genderunivobs.it/]), presso il Rettorato dell’Università di Roma Tre.

“Il ruolo svolto da Internet e dai social network nelle sollevazioni popolari del Maghreb è stato fondamentale. Basti pensare alle innumerevoli scritte che colorano i muri delle città egiziane “Thank you Facebook” o che una giovane coppia abbia dato alla propria bimba nata all’indomani della cacciata di Hosni Mubarak proprio il nome Facebook” ha sostenuto{{ Loredana Cornero}}, presidente della Commissione Donne della Copeam, conferenza che promuove e coordina progetti multilaterali nel settore audiovisivo euro-mediterraneo.
_ Tra le attività coordinate dalla Commissione Donne, sono attivi un blog e una pagina sul famoso social network, le cui iscritte sono per il 70% ragazze del sud del Mediterraneo, che “fanno un uso molto diverso di Facebook rispetto alle loro coetanee nord mediterranee: è per loro un diario, un blog, un luogo dove organizzare proteste, diffondere notizie, creare reti di relazioni dal valore sociale e politico, piuttosto che uno spazio per commentare fotografie di feste o giocare.”

{{Internet}} è stato importantissimo nel moltiplicare le voci che hanno preso parte alle proteste, nel connetterle tra loro superando i limiti imposti dalle censure governative e dalla paura, nel diffondere i fermenti prima e durante in tutto il mondo dando la parola ai protagonisti, alle voci zittite durante gli anni di dittatura. Soprattutto a quelle femminili.
_ Ma {{la sua potenzialità non è storia di oggi.}} “Quando Nawal al-Saadawi, la famosissima scrittrice egiziana, fu accusata e condannata ingiustamente di apostasia, a liberarla fu il condono ricevuto grazie ad un incredibile tam tam di petizioni, lettere, proteste organizzato proprio su Internet” ha raccontato {{Francesca Maria Corrao}}, Docente Ordinaria di lingua e cultura araba all’Università Luiss di Roma.

L’intervento di {{Francesca Brezzi}}, docente di Filosofia morale presso l’Università di Roma Tre e presidente del GIO, ha invece posto {{l’attenzione sui rischi}} che si corrono guardando a Internet e ai social network con entusiasmo esagerato: “ E’ vero che questi hanno restituito alle donne la parola e con essa l’affermazione della propria soggettività e la possibilità di dimostrare di essere un’identità di frontiera, aperta sempre a nuove forme e nuovi contenuti, ma il virtuale della rete porta con sé il rischio che si perda la concretezza della soggettività femminile, {{dove finisce il corpo delle donne?}}”

{{Carolina Popolani}}, documentarista italo-siriana, ha invece contribuito al dibattito con immagini e video delle rivolte dal web e soprattutto contenuti estratti dal suo reportage “{[Cairo Downtown->http://www.youtube.com/watch?v=nkPBXix5aEU]}”, realizzato nel 2009, sugli attivisti blogger egiziani divenuti poi protagonisti della rivolta scoppiata il 25 gennaio 2011.

Colpisce la visione profetica delle due ragazze intervistate nel documentario, entrambe blogger, che oltre a denunciare la doppia censura subita in quanto donne, a un anno e mezzo dalle rivolte, riconoscevano la necessità che qualcuno si assumesse la responsabilità civile del cambiamento, pronte a farlo loro stesse.

Altro contributo video interessantissimo proposto da Carolina Popolani, un documentario sulle {{donne di Siwa}}, regione al confine con la Libia, costrette, una volta sposate, ad una vita tra le mura di casa, che si preparano ad essa imparando ad usare il computer e internet: forse questa sarà la strada per continuare a lavorare anche dopo il matrimonio, o semplicemente per uscire dalle mura domestiche, anche se non fisicamente. Un cambiamento non radicale, ma significativo.

Ospite forse più attesa {{Sondès Ben Khalifa}}, giornalista tunisina, che ha sottolineato come {{le donne tunisine}} siano considerate al pari degli uomini e occupino da anni lo spazio pubblico, siano colte e abituate alle nuove tecnologie della comunicazione, terreno fertile perchè si assistesse alla loro partecipazione alla battaglia per i diritti e la libertà di espressione. Temi su cui lavorano da anni. “
_ E’ stato detto che la rivoluzione fosse inaspettata. Non è così. {{C’era da anni il sogno di poter parlare, }} che alimentava la rivolta nelle teste delle persone prima ancora che nelle piazze. Facebook ha favorito la concretizzazione di un malessere sociale e civile in fermento da tempo.

Per questo la nostra è considerata la {{prima E-revolution nel mondo}}.{{ L’unica arma dei giovani è stata la padronanza della tecnologia dei mezzi di comunicazione più nuovi.}}” Basti pensare che nonostante il controllo del regime più di due milioni di tunisini avevano un account Facebook, Twitter o You Tube. I giovani sono stati i pionieri, seguiti poi dalle donne, che hanno lottato anche per la separazione tra stato e religione, per scongiurare il rischio di tornare all’oscurantismo del passato.

Del lavoro sulle rivolte nel mondo arabo dal {{punto di vista dei media italiani }} ha parlato invece {{Iman Sabbah}}, giornalista di RaiNews nata e cresciuta in Israele. “Il ruolo dei media occidentali è stato quello di raccontare le rivoluzioni non secondo le versioni dei regimi, ma grazie ai racconti della gente protagonista. In queste ultime settimane è cambiato il modo stesso di costruire e gestire le notizie. Non ci sono più bastate le agenzie di stampa, si è cercato nei social network, ascoltato le notizie delle televisioni satellitari, cercato sul web. I cittadini comuni scesi in piazza a manifestare sono diventati inviati loro stessi e hanno potuto raccontare le loro storie in diretta ai giornalisti inviati.”

Il momento più toccante dell’incontro è stato però costituito dagli interventi dal pubblico di {{due ragazze egiziane, studentesse dell’Università di Roma La Sapienza}}, che hanno raccontato come hanno vissuto l’esperienza della rivoluzione nel loro paese dall’Italia: “quando l’oscuramento dei media è stato completo e non si riusciva più ad accedere alla rete” ha spiegato {{Sara Sahid,}} “ho scoperto come aggirare la censura e aiutato i miei amici in Egitto a farlo: è bastato cambiare la data e il paese di collegamento nel sistema windows di ogni computer”. E poi ancora, tra gli applausi: “Mi auguro che questa diventi davvero anche l’occasione perchè certi preconcetti vengano sfatati. {{La donna non è sottomessa dal velo come vogliono farvi credere.}}”

Immagine da [lastampa.it->http://www3.lastampa.it/costume/sezioni/articolo/lstp/393789/]