La Feltrinelli di Firenze nei mesi di aprile e maggio di quest’anno ha organizzato una rassegna di libri su un tema – quello del progressivo deteriorarsi delle conquiste e dei diritti delle donne nell’Italia di oggi – che sembra improvvisamente diventato degno di discussione pubblica e di risonanza mediatica.
“Non è un paese per donne”, questo il titolo della rassegna, all’interno della quale ha generato una forte eco il nuovo libro di {{Giovanna Campani}} {“Veline, nyokke e cilici. Femministe pentite senza sex e senza city”} (Odoya ed.).

Obiettivo di Campani, riflettere sul {{backlash all’italiana}}, cioè sul contrattacco mosso alle conquiste femministe degli anni Settanta e messo in atto da un insieme variegato di azioni politiche e culturali che convogliano nel ri-affermare nel nostro paese una cultura conservatrice e antifemminista. {Backlash} è il titolo di un libro scritto dalla giornalista americana {{Susan Faludi }}nel 1991 per denunciare la deriva antifemminista maturata durante la presidenza di Ronald Reagan nell’America degli anni ’80. Strumento chiave del contrattacco fu allora, come adesso in Italia, la rappresentazione mediatica delle donne e delle relazioni tra i sessi veicolata e diffusa su larga scala da televisione, stampa, cinema. {{Una rappresentazione fortemente sessista e lesiva dei diritti delle donne.}}

Mentre però nel contesto americano erano e sono presenti anticorpi collaudati dovuti ad una sedimentazione del pensiero femminista e della cultura di genere, l’Italia è esposta ad un maggior rischio ({{Campani parla di una “fragile stagione italiana dei diritti delle donne”). }}Il nostro paese viene annoverato come fanalino di coda nell’ambito dell’Unione Europea in vari ambiti: dalla rappresentanza politica, alla partecipazione al mercato del lavoro fino ad arrivare ai diritti riproduttivi (basti pensare al dibattito per la messa in commercio della RU486, la pillola per l’aborto non chirurgico, che continua a suscitare accese campagne di stampo religioso). Se a questi dati si va ad aggiungere una rappresentazione mediatica del femminile che rasenta l’immaginario pornografico, ecco che scaturisce l’”anomalia italiana” di cui parla Campani. La televisione, il mezzo di comunicazione “preferito” dagli italiani, ormai irrimediabilmente annodato al potere politico, mette in atto quotidianamente {{una violenza simbolica sulle donne,}} prodotta da battute sessiste che passano sotto silenzio – anche se non fanno affatto ridere le donne italiane – e da martellanti richiami a sfondo sessuale messi in onda trasversalmente in ogni orario del palinsesto, e indistintamente nelle reti pubbliche e private.

Nel suo pamphet {{Giovanna Campani ragiona su queste contraddizioni }}che permeano la cultura italiana dei nostri giorni e lo fa con lucidità e ironia, anche se – come scrive {{Franca Bimbi }}nella prefazione al volume – è evidente che questo libro rappresenta {{“un grido di dolore e di rabbia”}} che ben si legge in queste parole dell’autrice: “Ho deciso di scrivere questo libro perché, nella mia vita un po’ vagabonda, tra la Svizzera, la Francia, il Canada, gli Stati Uniti e l’Italia, ho potuto sperimentare che cosa vogliono dire diritti e rispetto – per le donne – e che cosa vuol dire invece sentirsi buttare addosso dei ruoli voluti e imposti da altri, da una religione, da una cultura, dagli uomini. E la prima esperienza (il rispetto e i diritti) l’ho avuta spesso in paese lontani dall’Italia, mentre la seconda – ovvero sentirmi buttare addosso ruoli voluti e imposti da altri – l’ho sperimentata soprattutto qui.”

{{Giovanna Campani,}} {Veline nyokke e cilici. Femministe pentite senza sex e senza city, }Odoya, Bologna, 2009, pp. 210, € 14,00.