Qualcuno ama ripetere che il cinema, i film, non servirebbero a nulla. Non c’è da biasimare troppo chiunque affermi questo ad alta voce, poiché in molti lo pensano in privato. Spesso, molto spesso, ciò corrisponde al vero. Poi, però, magari ti imbatti in un’opera di Ken Loach, e le tue convinzioni in materia crollano come un castello di carte, pezzo dopo pezzo. Neppure i più cinici spettatori potranno far a meno di ammettere che It’s a Free World, presentato con successo in questa edizione della Mostra del Cinema di Venezia, sappia offrire uno spaccato di vita reale, fuori dalle convenzioni spettacolari e dal “già visto” cinematografico.
_ Il film di Loach – ribattezzato da tempo “l’ultimo autore militante rimasto in circolazione” – problematizza la realtà, sempre più globalmente orribile, senza accontentarsi di alcune note particolarmente acute, ma anzi affondando lo sguardo, fornendo un ritratto particolareggiato e fedele di un mondo sommerso che, però, sappiamo bene esistere. La sua protagonista Angela, è una trentatreenne che sbarca il lunario saltando da un impiego precario all’altro. Il film la coglie in un momento qualsiasi, eppure molto significativo, della sua travagliata esistenza: nel momento in cui, perso l’ennesimo lavoro, decide di aprire un’attività in proprio, mettendo a frutto le proprio conoscenze maturate in tanti anni di precariato.

Angela sembra un concentrato di virtù anche un poco inverosimili: è molto bella, intelligente, combattiva, scaltra, forte come un macigno. Eppure è vittima anche lei, in maniera davvero sconfortante, del “Sistema”. Se vuol sopravvivere, non venir sfruttata dai meccanismi collaudati delle cose della vita, deve essere lei a farsi valere. Ma, invece di combattere il sistema che riconosce come marcio e profondamente ingiusto, si mette a ragionare e a comportarsi esattamente nello stesso modo di chi sfruttava lei fino a un attimo prima. Da schiava a schiavista, da lavoro giornaliero (che si rivelerà una truffa per gli emigranti coinvolti) ai profughi in terra d’Inghilterra.
_ Se, dunque, i film di Loach replicano la vita vera, It’s a Free World non ha un inizio e una conclusione tradizionali. Loach si limita – bontà sua – a cogliere un frammento significante della vita di Angela e, con lei, del suo mondo: il nostro. E lo fa con un acume che è proprio solo di chi possieda uno sguardo come il suo.
_ E allora, un Loach serve, eccome: a risvegliare le menti intorpidite, ad aprire gli occhi sulle storture del mondo in cui viviamo. E non è davvero poco.