Il desiderio di condivisione, di relazione e di scambio ha caratterizzato il Gaia Festival che si è svolto dal 19 al 27 giugno 2010 lungo la costa e per le montagne da Maratea in Basilicata ad Amantea in Calabria. L’invito a scoprire le bellezze del territorio, lo scambio di saperi, l’accoglienza, le reti di relazione hanno creato una sorta di spirale di energia che è possibile rintracciare nei seminari, nelle mostre itineranti.

Tornando dal Gaia International Festival cosa porto a casa?
Tanta gioia per aver incontrato tante persone diverse per biografia e provenienza.
_ Tanta serenità per la consapevolezza di aver fatto la cosa giusta.
_ Tante piccole pietre preziose, fatte di appunti, foto, indirizzi, emozioni e
pensieri scambiati.
_ Una festa delle idee, dell’amicizia, della solidarietà lunga tutta una settimana.

In una settimana di fine giugno la prospettiva può cambiare, percorrendo la costa calabrese e quella lucana, da Maratea ad Amantea il paesaggio muta, i volti modificano i loro tratti e il nomadismo della mente prende forma, lasciando spazio
all’accoglienza e all’incontro.
_ E’ così che prende corpo l’idea che si può dare una svolta ai temi dell’ambiente, tutto può essere modificato, migliorato, se ci
mettiamo in gioco con fiducia e generosità, se solo spegniamo per un po’ la tv, è possibile prendersi cura del nostro mare, della nostra terra e, quindi, di noi stessi.
_ Vandana Shiva afferma che solo rispettando i diritti della terra possiamo
rispettare veramente i diritti umani.

Lo credo anch’io e penso anche che la negatività trasmessa quotidianamente dai mezzi di comunicazione sia alla base di una
delle principali malattie della società contemporanea: la sfiducia.

Per questo mi sento di consigliare di ascoltare più radio e vedere meno tv, pur essendo presidente di un’associazione che si occupa di comunicazione, MEDiterranean MEDIA, mi sento di dire che dobbiamo difenderci da un’informazione quantitativamente eccessiva e
qualitativamente scadente.

Al [Gaia International Festival ->http://www.gaiainternationalfestival.com/italiano/benvenuti.html]hanno prevalso le relazioni umane e meno quelle mediatiche anche perché come è noto le buone notizie “non fanno notizia”.

Il festival si è auto finanziato e i relatori, gli esperti, i testimoni
privilegiati sono stati ospitati nelle nostre case, si sono ritrovati intorno ai
nostri tavoli, sulle terrazze, sui campi, nelle piazze, nelle belle sale pubbliche
della costa tirrenica. Hanno preso parte al festival tante persone con bagagli
ricchi di esperienze e di teorie E’ stato emozionante ritrovarsi tutti insieme su un
territorio così vasto a parlare e a scambiarci proposte per prenderci cura
dell’ambiente in cui viviamo.

Dal Giappone al Canada, attraversando l’Europa, i partecipanti hanno portato
materiali, progetti, locandine, dipinti, disegni, cibi genuini, bevande, saperi.

Tanti incontri, dibattiti, mostre, concerti, performance teatrali e mercatini hanno
vivacizzato borghi abbandonati e località impigrite da un turismo mordi e fuggi del
mese d’agosto.

Tra le scoperte più inaspettate: il comune di Aieta. La sorpresa è stata grande,
quando risalendo vicoli stretti e tortuosi ad un tratto ci è apparso in tutta la sua
maestosità l’austero palazzo Rinascimentale del XVI secolo, dove si è concluso
lentamente e lungamente il festival.

Aieta è un paese bellissimo a pochi chilometri dalla costa dell’alto tirreno, vicina
al mare ma terribilmente fuori dalle rotte turistiche più note e frequentate. La
voglia di proporre i suoi panorami mozzafiato, le sue prospettive, la sua arte a
quanti ancora non hanno avuto modo di scorgerli è grande. I video proiettati e la
mostra d’arte ospitati nel Palazzo Rinascimentale di Aieta hanno contribuito con la
loro potente energia a rianimarlo per una settimana, ma è necessario dare continuità
al lavoro fatto.

Il desiderio di condivisione, di relazione e di scambio ha caratterizzato il Gaia
Festival. L’invito a scoprire le bellezze del territorio, lo scambio di saperi,
l’accoglienza, le reti di relazione hanno creato una sorta di spirale di energia che
è possibile rintracciare nei seminari, nelle mostre itineranti: nei quadri di Diana
Gnata fatti di sabbie, conchiglie e sogno; nei disegni di Luigi Fabbricatore, nelle
nature di Tokio Aoyama, nelle marionette di Luciana Pasetto, nella regia di Fernanda
Ruocco, nelle idee di Michael Leonardi e Fabrizio Di Buono, nelle performance di
Maria Grazia Bisurgi e Paola Scialis.

S. Lucido, Longobardi, Amantea sono state tappe importanti per mescolare antichi
saperi e nuovi esperimenti di convivenza civile, di ricerca di nuove armonie per
l’ambiente.

Il libro di Vandana Shiva “{{ {Semi del suicidio} }}” a cura di Laura Corradi, presentato da
[MEDiterranean MEDIA->http://www.medmedia.org/] ad Amantea grazie alla collaborazione del Comitato Natale De
Grazia, è interessante non solo perché ci narra dell’India, un paese importante di cui non conosciamo abbastanza, ma soprattutto perché a proposito di mondo globalizzato ci mette in guardia su una serie di rischi insiti nel neoliberismo imperante; inoltre, sul piano politico ci fornisce informazioni preziose rispetto alle nuove forme di insorgenza e di resistenza dei movimenti.

L’India spesso viene citata per il suo PIL in forte crescita e per i suoi successi informatici, ma su quale catastrofi si poggino questi successi, su cosa sia accaduto al mondo contadino non abbiamo notizie e così pure della diffusione crescente del fenomeno del suicidio.

Emile Durkeim, uno dei padri della sociologia occidentale, afferma che il suicidio è
il segno dell’insuccesso di una società, e su questo aspetto molte madri della
sociologia sarebbero in perfetto accordo.

Il fenomeno del suicidio non è una questione che riguarda quel particolare luogo,
quel tempo, poiché si tratta di un indicatore importante, così come il malessere
sociale, a cui bisognerebbe guardare quando si ragiona sui temi dello “sviluppo”.

La domanda che dobbiamo porci, qui ed ora, a quali costi umani ed ecologici ci
sottopone il neoliberismo?

Nella società contemporanea i valori principali sono: il profitto e la produttività.
In questo contesto quanto vale la vita di un disoccupato o di un cassintegrato,
condizione che in Italia si sta diffondendo come un’epidemia.

Il malessere sociale
spesso si traduce in difficoltà mentale poiché non si riesce a far fronte alla
precarietà, tutto questo genera depressione e disagio sociale.

Un altro indicatore importante è la malattia, se la questione del trattamento dei
rifiuti, più o meno nocivi, è in Italia come nel mondo all’anno zero, un’altra
questione fondamentale che dobbiamo porre all’ordine del giorno nell’agenda politica
è quella del trattamento dei veleni.

Se le sostanze tossiche vengono smaltite in maniera illecita, mettendo
continuamente a rischio la salute delle persone, dovremmo porci il problema del
perché si continuano a produrre, se è ormai è noto che è costoso smaltirle e
altrettanto pericoloso il loro trattamento. La scelta di continuare a produrre
energia nucleare nel mondo è una scelta scellerata, suicida.

L’aumento dei tumori, delle allergie costituiscono un altro indicatore importante
del malessere sociale.

I contadini indiani sono passati da una produzione domestica a una produzione
neoliberista, sono passati dall’uso di sementi tradizionali che assicurano
l’autosufficienza (consumano poca acqua, sono protettive le une alle altre) alle
monoculture che li hanno portati all’indebitamento, verso la strada dello
sfaldamento del nucleo familiare e, poi, al suicidio.

Secondo Vandana Shiva l’agricoltura industrializzata può essere analizzata come una
forma di guerra, giacché ha sistematicamente comportato debito e penuria per le
famiglie contadine, fin dai tempi della cosiddetta “rivoluzione verde” operata dalla
multinazionale Monsanto.

Se abbiamo compreso questi nessi, queste correlazioni, così come i vecchi contadini
indiani lo hanno capito, allora, è necessario mobilitarsi partendo dal locale per
arrivare al globale con ponti di solidarietà e scambio con i contadini indiani che
hanno sperimentato sulla loro esistenza il nesso tra vecchi semi e sicurezza
ecologica. Dall’incontro di Amantea portiamo a casa la comprensione di un fenomeno
come quello del suicidio dei contadini indiani che avviene mille miglia lontano da
noi, ma che ci riguarda direttamente e profondamente perché è riconducibile:

– al concetto di sviluppo;

– alle politiche neoliberiste,

– alla contrazione di debiti nei confronti delle banche,

– all’uso di pesticidi chimici,

– all’uso di sementi modificate geneticamente.

Il neoliberismo con le sue azioni spregiudicate mette in pericolo la terra e
l’esistenza umana.

Vandana Shiva ci avverte, alcuni processi così detti di sviluppo portano alla
distruzione, dobbiamo pensare al benessere delle persone in armonia con la terra,
solo se ritorniamo al rispetto della terra, potremo pensare che si creino le
condizioni per il rispetto delle persone.

Lucia Chiavola Birnbaum nel libro “{ {{La
madre o-scura}} }” ci insegna che la terra e le persone che la abitano sono in realtà la
stessa cosa.

A Diamante presso la nuovissima sede dell’associazione Kamadir, MEDiterranean MEDIA
nell’ambito della sezione MADRE TERRA, ha presentato il libro di Monica Lanfranco
“{{ {Letteralmente femminista} }}”.

Il libro di Monica è una lunga lettera appassionata, un dono ricco di spunti e di
riflessioni per chi ha la fortuna di averlo tra le mani.

Il libro parte da una domanda dove è finita l’eredità del movimento femminista, la
più grande rivoluzione non violenta del ‘900? Dove abbiamo sbagliato nel trasmettere
valori e saperi?

Dal confronto è emerso che viviamo una fase di transizione in cui il modello
dominante patriarcale può essere contrastato da un movimento globale teso verso
sistemi di reti di relazione e di condivisione. Donne e uomini in tutto il mondo
stanno provando a sviluppare nuovi modelli e nuove teorie sul potere, basandosi su
modi di vivere equi e solidali. I modi di essere non patriarcali devono essere
vissuti su base quotidiana da ogni persona coinvolta nel processo di trasformazione
della cultura (Ruth Barrett).

A Maratea in mezzo ad una natura meravigliosa e rigogliosa, in un piccolo patio del
MaraRanch ci siamo ritrovati per parlare della {{ {Storia di Pasquinella} }}, il libro che
ha vinto la [VII Edizione del Concorso Letterario “Le Collane di Med”->http://www.medmedia.org/eventi/BandoConcorsoLetterarioN.8/Medtab8.htm]. Il concorso
letterario è stato ideato nel 1997 dall’Associazione MEDiterranean MEDIA e aveva
l’obiettivo di creare un ponte tra le giovani generazioni e le donne che hanno
partecipato all’esperienza del femminismo. Le Collane di Med intendono creare una
rete tra le donne che si sono impegnate per le pari opportunità, le politiche di
genere e le donne che portano con sé il seme del cambiamento, ma non appartengono,
di fatto, al pensiero della differenza.

Brigida Berlingeri, l’autrice della Storia di Pasquinella, appartiene a quest’ultima
categoria e “Ultima” era il titolo originario della sua proposta. Il comitato di
valutazione ha scelto di cambiarlo poiché la Storia di Pasquinella è in realtà la
STORIA delle nostre nonne e delle donne in difficoltà di tutto il mondo.

Il libro ci mostra, in maniera disarmante e a volte con crudezza, come la schiavitù
fino qualche anno fa fosse tra noi. Quando due variabili si combinano, appartenenza
al genere femminile e povertà, allora la trappola della schiavitù nel lavoro e nel
corpo è quasi fatale. Brigida Berlingeri ci ha raccontato tutto questo con la
precisione della scienziata e con la leggerezza tipica di una favola triste. Ma la
storia ha un lieto fine, poiché Pasquinella alza la testa e prende la parola,
utilizzando uno strumento potente di comunicazione e trasmissione del pensiero delle
donne: la scrittura. Il lieto fine è dato oltre che dalla biografia dell’autrice,
dal passaggio simbolico di consegna della staffetta che la scrittura regalerà,
nella VIII edizione, alla vincitrice del concorso letterario.

“Le Collane di Med” hanno il pregio di raccogliere qua e là piccole perle,
conchiglie e pietre, magari non vistose, ma preziose, che arrivano dal mare o che
scivolano dalle pendici delle montagne, per poi tutte insieme imprimere una svolta,
rafforzandole e facendole rotolare ancora, spinte dal vento in tutte le direzioni.

MEDiterranean MEDIA nel Gaia International Festival ha cercato idealmente di
tracciare ponti di relazione tra le esperienze di Monica Lanfranco di Genova, i
saperi di Laura Corradi, cittadina del mondo, la scrittura di Brigida Berlingeri
di S. Giorgio Morgeto, un paesino ai piedi dell’Aspromonte. Tutte hanno in comune la
ricerca di nuove armonie tra terra e mare, e gli abitanti che temporaneamente vi
abitano, cercando di tenere insieme teorie e pratiche politiche, poiché a nostro
avviso sono inscindibili, e si arricchiscono reciprocamente favorendo la nascita di
nuove reti e di relazioni.

Domenica 4 luglio a Belmonte, un gruppo del Gaia International Festival si è riunito
per avviare insieme una riflessione su ciò che avvenuto nella fase organizzativa e
durante la settimana degli eventi. Sono state individuate alcune criticità e sono
stati sottolineati alcuni passaggi significativi e di valore. Si è deciso di
raccogliere il materiale cartaceo, fotografico e video del festival per non
disperdere il patrimonio di energie e di proposte emerse durante un’inedita ed
intensa settimana di fine giugno. Nei prossimi mesi si deciderà come dare continuità
al festival, se formalizzare la rete attraverso una federazione di associazioni o
mantenere uno spazio aperto e fluido di aggregazione.

Qualunque decisione prenderemo non partiremo da zero, ma da GAIA.