Quando incontro Laura, la volontaria del Christian Pacemakers Team, che ci accompagnerà nel giro di conoscenza in Palestina e le sento dire: “Siete venute a vedere il vostro futuro” la guardo incredula e sospettosa. Che razza di paragoni sta facendo?Certo, anni fa, in Brasile e in Messico ho visto in faccia il nostro futuro osservando l’enorme divaricazione tra ricchi e poveri, la mancanza di lavoro e di tutele sociali, la stretta connessione tra politica e affari…. ma qui che c’entra il conflitto tra Israele e Palestina con la nostra situazione?

{{Dopo 15 giorni trascorsi metà in Israele e l’altra metà nella West Bank}} (territori occupati o amministrati a seconda delle dizioni) ho cominciato a capire il senso di quella frase.

Per una come me che ama l’ordine e l’organizzazione il primo impatto con questa terra va a netto favore degli Israeliani: lì c’è la riforestazione, è evidente lo sforzo di organizzare lo sviluppo secondo progetti ben organizzati e piani urbanistici che tengono conto di tutto (abitazioni, verde, servizi.. certo non si curano dell’ecostenibilità ma…) mentre dove ci sono i palestinesi tutto è più confuso, caotico ed evidentemente privo di pianificazione. Peccato che poi si scopra che per esempio la municipalità di Gerusalemme, che controlla ambedue le parti della città, nonostante incassi il pagamento delle tasse sia dagli ebrei che dagli arabi, non fornisce ai quartieri di quest’ultimi i servizi che fornisce agli altri e non rilascia loro alcun permesso edilizio né consente l’accesso alle aree edificabili destinate agli ebrei.{{ Peccato che si veda come nella West Bank i coloni tengano sotto assedio i villaggi palestinesi}} con angherie d’ogni genere (taglio degli olivi, pietre contro i bambini che vanno a scuola..) e in più pompino l’acqua dalle falde sottraendola ai villaggi del fondovalle, a cui non vengono nemmeno rilasciate le concessioni per la costruzione di cisterne per la raccolta dell’acqua piovana. Sono solo alcuni esempi ma ce ne sarebbero a centinaia.

Quel che però mi preme è analizzare il modo in cui si comporta {{quell’avamposto della cultura europea}} che noi consideriamo l’unica democrazia del vicino oriente. Lo stato d’Israele è molto interessante da questo punto di vista: per esempio ha un’idea di stato democratico strettamente legata alla componente etnico-religiosa, per cui tanto per citare un caso, dopo aver vinto la guerra del 1967, non ha voluto annettersi la parte di territori conquistati al di qua del Giordano (ossia la West Bank) perché essendo densamente abitati da arabi cristiani e islamici avrebbe spostato gli equilibri interni dello stato. Da lì ha preso il via un processo di sfollamento della popolazione araba per concentrarla in alcune zone nominalmente autonome; poi le terre, non coltivate per 3 anni di seguito, sono state requisite da Israele e considerate patrimonio pubblico: su esse sono stati collocati vari insediamenti o sono state destinate ad area verde non edificabile. Poi si sono circondati con il muro i villaggi e le città palestinesi e si sono bloccati gli accessi di connessione tra le strade costruite da Israele e quelle che portano ai villaggi e comunque tutte quelle che potevano essere considerate grandi vie di comunicazione palestinese.. Insomma il programma è per l’acquisizione del {{“massimo di territorio col minimo di popolazione araba”}} e per lo smantellamento dell’economia della West Bank.

Ma Israele è uno stato democratico! In effetti, che la democrazia sia semplicemente la difesa del bene della maggioranza è chiaro sin da quando essa è nata nell’antica Grecia, ma il difetto d’origine che la caratterizzò nell’antica Atene (l’esclusione dal conteggio di questa maggioranza di tutti i “minimi”: schiavi, immigrati e donne) è sempre pesantemente presente. {{La difesa ad ogni costo dell’omogeneità della “maggioranza”}} è {{problema che non troviamo solo in Israele}}: anche da noi quando si parla di diritto di voto agli immigrati gli animi s’infiammano, anche da noi le rivendicazioni relative alla presenza del crocefisso nei luoghi pubblici e l’ostilità nei confronti della costruzione di moschee, ci parla di una visione etnico-religiosa dell’identità nazionale.

Per non parlare dei risvolti economici: in Israele gli arabi della West Bank possono entrare solo se dotati di permessi per il lavoro e naturalmente, dato che tutte le frontiere sono sotto controllo Israeliano, {{tutto ciò che nella West Bank viene prodotto può essere commercializzato solo con Israele e ai prezzi che Israele stabilisce}}, del resto tutto ciò che viene importato, comprese le materie prime, deve passare attraverso il controllo d’Israele (nell’epoca del neoliberismo fa ridere!!). Ovviamente tutto ciò non favorisce certo lo sviluppo dell’economia palestinese ed è così che molti arabi devono lavorare per Israele (spesso anche nella costruzione di quegli insediamenti ebraici che rubano loro la terra e che da loro non potranno mai essere abitati) come mano d’opera a basso costo. Quanto piacerebbe a molti, anche in Italia, poter usare il lavoro di persone che poi la sera se ne vanno nei loro ghetti fuori dai confini ufficiali dello stato!!! Se poi sei nato a Gerusalemme ma solo uno dei tuoi genitori ha la cittadinanza israeliana, tu non potrai acquisirla, anzi spesso verranno poste in essere pressioni d’ogni genere per indurre tutta la famiglia a trasferirsi nella West Bank. Mi pare di leggere qualche somiglianza con l’ipotesi d’espulsione di immigrati irregolari ai cui figli nati in Italia non sarebbe consentita la frequenza scolastica.

Mille altri sarebbero i temi da toccare ma andrebbe troppo per le lunghe.
Vorrei solo concludere ricordando che quello che abbiamo trovato sono {{due popoli, attanagliati dalla paura, che vivono in un regime carcerario.}} Naturalmente ci sono i carcerati e i carcerieri ma ambedue vivono in prigione. Mi auguro che riflettere sulla situazione altrui ci aiuti ad evitare che questo sia il nostro futuro.

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