Dimissioni in bianco: verso la fine di un abuso
Dal sito Aprile on line riprendiamo questo articolo di Marisa Nicchi, prima firmataria del ddl volto ad impedire il licenziamento mascherato da dimissioni volontarie, una pratica molto diffusa nel mondo dell’occupazione. Ora si aspetta il si del Senato per ripristinare uno stato di diritto che tuteli i lavoratori e soprattutto le lavoratrici
Il voto favorevole espresso dall’aula di Montecitorio al [disegno di legge 1538->http://www.camera.it/_dati/lavori/schedela/trovaschedacamera_wai.asp?pdl=1538&ns=2], volto ad {{impedire il licenziamento mascherato da dimissioni volontarie}}, è un atto importante che ristabilisce una condizione di diritto.
_ Un articolo per {{neutralizzare una vessazione illegale}}, eppure diffusa nel silenzio generale per il ricatto che la ispira: l’assunzione con licenziamento incorporato. Una pratica con cui si chiede alla lavoratrice ed al lavoratore, nel momento dell’assunzione, quando i datori di lavoro hanno un potere decisivo, la sottoscrizione di una lettera di licenziamento volontario in bianco. Una lettera che verrà messa in un cassetto pronta per essere usata quando converrà al datore di lavoro. In sostanza, {{una spada di Damocle}} che graverà sulla vita dei soggetti coinvolti ridotti ad uno stato di soggezione permanente, un intollerabile prezzo pagato al bisogno di lavoro, un sacrosanto diritto che si trasforma in un ricatto che diventerà effettivo {{in caso di maternità di una donna o in occasione di una malattia o di un infortunio}}. Momenti delicati per le persone che una legislazione civile tutela e valorizza e che invece la logica selvaggia della convenienza economica trasforma in esclusione.
Il fenomeno che coinvolge le {{imprese più irresponsabili, specie al Sud,}} o quelle più piccole ove la soglia dei diritti riconosciuti si assottiglia e lascia più spazio a prevaricazioni, le imprese più spregiudicate che pensano di stare sul mercato comprimendo diritti e tutele. Un comportamento lesivo di diritti e dignità molto più diffuso di quanto emerga, seppure i dati di cui disponiamo, che sappiamo essere sottostimati – si parla di circa 18.000 casi all’anno -, siano una realtà significativa. Intollerabile.
{{La legge vuole prevenire il compiersi di questo arbitrio}} vincolando la lettera di dimissioni volontarie all’uso di un modulo facilmente reperibile, numerato e a scadenza. Qualsiasi atto scritto al di fuori di questo modulo è nullo. Così si previene l’insorgere dell’abuso, andando oltre alla legislazione attuale (il testo Unico a sostegno della maternità e paternità del 2001 e il codice per le pari opportunità del 2006) che già si era posta il problema, riguardo al contratto di lavoro subordinato, prevedendo una verifica ex post della veridicità delle dimissioni sospette date durante la gravidanza o entro il primo anno di matrimonio. Ma la verifica successiva si infrange spesso con la {{difficoltà della lavoratrice e del lavoratore a sottrarsi al ricatto}} che perdura per il bisogno di lavoro e la paura di non trovarlo più. Essi, che hanno l’onere della prova, anche nel caso in cui riescano a dimostrare l’illegittimità delle dimissioni, spesso preferiscono una buonuscita rispetto al reintegro in un posto di lavoro ove pagherebbero, in mille modi, l’atto di ricorso alla Magistratura.
Insomma, il disegno di legge vuole prevenire la catena di abusi e ricatti che malgrado il divieto delle leggi hanno trovato il modo di compiersi per il potere diseguale che caratterizza le parti sociali che stipulano il contratto di lavoro, poteri che la stessa Costituzione vuole equilibrati.
_ A sostegno di questa visione, un’ inchiesta realizzata dal quotidiano la Repubblica nel marzo scorso a firma della giornalista {{Concita De Gregorio}}, che ha testimoniato alla grande opinione pubblica, con racconti di vita, come agisce questo incivile ricatto che calpesta, in un paese in cui si fa tanta retorica sulla maternità, il diritto delle lavoratrici ad avere figli e chiude in un cassetto la dignità delle persone.
Con questa {{norma preventiva e non inutilmente repressiva}}, si vuole rendere certa e legale la scelta delle dimissioni volontarie, impedire l’ipocrisia di quella formalmente legale sì, ma estorta. Una norma {{valida per tutti i tipi di lavoro}}, per quelli a tempo indeterminato e per quelli a termine che assumono una estesa e impropria molteplicità di forme, modi di lavorare nuovi senza sicurezza e diritti, che il nostro gruppo vuole tutelare e limitare drasticamente per ristabilire la certezza del buon lavoro sicuro. Per questo stiamo predisponendo un disegno di legge ad hoc.
Con la norma in approvazione{{ vogliamo che non si possa compiere un licenziamento ingiusto}}, ma non solo. {{Vogliamo che non si lavori più in uno stato di soggezione}} come quello di chi è stato costretto a firmare la lettera in bianco del proprio licenziamento. Una firma che aggrava l’instabilità di chi ha un lavoro precario e precarizza chi ha un lavoro a tempo indeterminato. E’ successo a 120 operai di una cartiera di Bari e chissà a quanti altri.
Avere posto questo tema al Parlamento ha per il nostro gruppo un significato simbolico: {{rimettere al centro il diritto del lavoro riequilibrando poteri e tutele}} a favore del lavoratore e della lavoratrice, oggi pesantemente {{mortificati dalla legge Biagi}}. Ma significa anche{{ riaffermare la libertà e l’autonomia delle donne}} che è un valore per noi intangibile. Ciascuna donna deve essere messa in grado di essere artefice della propria vita a partire dalle scelte procreative che solo uno spirito illiberale contrappone ancora al lavoro, in mille modi espliciti e occulti. Sappiamo bene che queste contraddizioni mettono in gioco, innanzitutto, la forza delle donne, la loro risoluzione richiede quell’abilità, di cui le donne sono capaci, di armonizzare tutti gli aspetti della vita, secondo vie diverse e che solo loro possono decidere. Sono equilibri faticosi da raggiungere, che nessuna può aggirare, pena dolorose rinunce. E’ un modo di vita più ricco, è il bello della libertà femminile.
Il passo avanti compiuto oggi dall’aula di Montecitorio con il voto favorevole al ddl contro il licenziamento mascherato da volontarietà, frutto di un lavoro politico trasversale che {{ha visto protagoniste soprattutto le donne}}, dovrà ora passare l’esame del Senato. La nostra speranza è che Palazzo Madama in tempi brevi ratifichi il documento e che esso diventi legge dello Stato, ponendo fine al perpetuarsi di un fenomeno di abuso e di erosione del diritto che sacrifica i lavoratori e le lavoratrici e, anche, l’idea dell’occupazione come ambito di realizzazione dell’essere umano.
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